Calendario

Settembre 2020

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Vivere il respiro

Vivere il respiro

Visioni
di Gigi Mangia

Molto comincia dal vivere il respiro: la vita, la crescita, la salute, il diritto di respirare aria sana, ma anche la paura e la crisi, causata dal Covid 19 e dalla paura del dolore ai polmoni. L’aria si muove. Comincia l’autunno, per noi salentini, la stagione dei venti di scirocco e tramontana, di quelli freddi dei Balcani e della Siberia. È la stagione dei raffreddori e dell’influenza, che favorisce la diffusione del virus quindi il rischio di essere contagiati. Le persone, più ancora gli anziani, hanno paura, si chiudono in casa, vivono l’isolamento come difesa. È una risposta sbagliata. Il respiro è la luce dell’aria da vivere fuori, con gli altri, senza avere paura. L’aria è il bene più universale per tutti, senza distinzione sociale, da vivere nelle relazioni. Il teatro Koreja è aria sociale, accoglienza, casa comune dove partecipare con gli altri agli spettacoli, senza paura. Il Foyer è grande, comodo e ben arieggiato, dove le regole di sicurezza possono essere rispettate e garantite per la tutela della salute di tutti. Il teatro senza pubblico non è teatro, perde il respiro, gli manca la luce dell’aria sana. Strade maestre continua ancora, non si ferma. Dobbiamo tornare a frequentare e partecipare alle iniziative del teatro, vincendo la paura del virus e credendo alla forza della cultura come risposta al piacere di vivere il respiro con gli altri. I venti di autunno del Salento non ci devono fare paura e meno che mai ci devono tenere chiusi nelle nostre case. Tutti in teatro allora.

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Aprire la scuola alla città

Aprire la scuola alla città

Visioni
di Gigi Mangia

L’educazione, la formazione della cittadinanza responsabile, non è un compito solo della scuola, ma di tutta la Polis. Nel 1977, con la chiusura delle scuole speciali, l’Italia faceva l’impegnativa scelta della scuola inclusiva di tutti. Quegli anni furono quelli delle grandi riforme, come la chiusura dei manicomi e la riforma sanitaria nazionale. Questa stagione oggi, sembra avere esaurito tutta la sua spinta sociale innovativa. Il Covid ha accelerato la crisi, limitando i diritti e portando indietro le grandi conquiste sociali, come la mobilità, alla base delle grandi trasformazioni del ‘900, il secolo della nascita dell’Europa dei diritti universali. La crisi ha colpito principalmente la scuola, indebolendo l’educazione, l’istruzione e la formazione di cui oggi abbiamo un grande bisogno. Ce lo chiede il futuro. Da sempre, la scuola, per le famiglie è stata una certezza, ora non lo è più, a partire dall’ orario dell’inizio delle attività. I servizi della mobilità sono in confusione. Le famiglie deluse e disperate. Alla scuola mancano quasi 200 mila insegnanti, di questi, almeno la metà sono supplenti e insegnanti di sostegno per di più viene meno la continuità didattica per i disabili nonostante sia stata riconosciuta da tante Sentenze. Questi docenti non sono specializzati, non sono preparati, non hanno esperienza e sono poco motivati ad insegnare a ragazzi che hanno gravi problemi, dove la motivazione è fondamentale per avere un rapporto socio-affettivo importante. Spesso i disabili sono pluriminorati, perciò il sostegno è più complesso e anche più difficile: serve avere molta esperienza. La scuola dell’inclusione sociale è in ritardo e il prezzo lo pagano i pluriminorati e i poveri delle periferie. La dispersione e l’impoverimento sociale sono due sconfitte che la scuola deve evitare. Nell’ anno scolastico passato, più di 1 milione di studenti è stato fuori dalla scuola compresi 285 mila disabili.
Per superare le diverse difficoltà si dovrebbe favorire un’alleanza fra docenti curriculari e insegnanti di sostegno, fra operatori sociali ed esperti pedagogisti. La scuola deve trovare la forza per aprirsi alla città. Le strade e le piazze dove di trovano le scuole devono essere pedonalizzate, da usare per fare lezioni quando il bel tempo lo consente. La città è una foresta di motivazioni di studio. Le mura, le piazze e le vie sono piene di significati: i nomi di poeti, di statue, di date delle grandi scoperte geografiche, sociali e scientifiche. La città poi è ricca di voci e di suoni dei mestieri che fanno parte della vita di ognuno di noi. Le mura, le facciate dei palazzi, le chiese testimoniano la storia e la grandezza della città. L’architettura rappresenta la trasformazione del paesaggio e il rapporto con la campagna. La scuola deve aprirsi, deve uscire fuori, incontrare la città, valorizzare i luoghi del sapere come i musei e le biblioteche, il cinema e il teatro. La cittadinanza etica e responsabile si impara a scuola ma si costruisce nella Polis. Il rinascimento dell’Italia, comincia a scuola, passa dall’ università e dai centri di ricerca. Il debito che stiamo facendo noi lo pagheranno, però, le nuove generazioni. Non dobbiamo sbagliare e come ci ha insegnato il Presidente della B.C.E. Mario Draghi, c’è un debito cattivo e un debito buono, per questo, questa volta, non possiamo sbagliare.

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Rosa Balistreri

Rosa Balistreri

suono di voce e luogo dell’anima

Interviste
di Annarita Risola*

Angela De Gaetano, voce recitante e autrice del testo “Rosa,
Rose”.

Uno spettacolo dove la parola acquista il doppio significato che Aristotele gli attribuì nel De interpretatione : “suono di voce significativo per convenzione e simbolo delle affezioni che hanno luogo nell’anima”.  Come nascono e che significato da alle parole utilizzate nel suo testo?

Dopo aver accolto l’invito di Ninfa Giannuzzi e
Valerio Daniele a prendere parte a questo progetto, ho attivato una fase di
studio. Ho cercato di “assorbire” la voce di Rosa Balistreri da semplice
ascoltatrice e, dopo aver attraversato da appassionata lettrice tutte le
vicende della sua vita, ho sentito che l’unico modo per poter raccontare la
storia di questa donna fosse procedere a ritroso, raccontando in terza persona.
Dalla sua morte alla sua nascita
. In direzione contraria. Mi sembrava una modalità
perfetta per una persona “controcorrente” come Rosa.

Perché la scelta di parlare in terza persona?

Perché, a mio avviso, in questo caso è l’unico modo
possibile. In primo luogo, per una questione di rispetto verso la vita di Rosa,
nella sua autenticità. A mio avviso, la prima persona in questo racconto
avrebbe creato una stonatura. C’è una scelta d’autrice precisa, che danza tra
le parole, scegliendo un percorso non lineare, che procede per frammenti, con
l’obiettivo di arrivare alla sua nascita, che per me rappresenta, in questo
caso, un forte desiderio di ri-nascita. Raccontando in terza persona, ho
cercato di creare la giusta distanza, per sfiorare con una carezza la sua vita
già troppe volte calpestata. Ho cercato di abbracciare i sentimenti nel modo
più schietto possibile, da donna a donna, senza cercare di essere
(teatralmente) altro da me. Per avvicinarmi ad un racconto che fosse il più autentico
possibile, senza l’intermediazione del teatro. Il mio intento era quello di
creare un racconto che precipitasse in un atto d’amore puro.

Secondo lei è esistita o esiste un’artista paragonabile a Rosa
Balistreri?

Ogni artista è unico e il paragone con altri non è
mai cosa che rende giustizia all’arte. Posso però dire che Rosa rappresenta
tutte le donne, artiste e no, che lottano quotidianamente contro le
ingiustizie, con una forza inaudita e un istinto di sopravvivenza
sorprendentemente primordiale.

Lo spettacolo è pregno di drammaticità. La stessa Rosa definiva
la sua nascita: “ il più grande dramma della sua vita”. Se fosse vissuta in
quest’epoca, avrebbe avuto lo stesso destino?

Sicuramente il contesto storico e le condizioni
sociali erano completamente diverse: povertà estrema, sia materiale che
educativa, violenza domestica ripetuta e una guerra mondiale non sono fattori
trascurabili. Nonostante questi drammi, Rosa è riuscita a riscattarsi
attraverso la sua indole ribelle, il suo cuore e la sua voce. Fuggire dalla
Sicilia è stato un passaggio fondamentale della sua vita. Se non fosse andata a
Firenze, forse, non avrebbe avuto tutta una serie di opportunità che poi
l’hanno condotta a diventare una cantautrice. Forse, se non fosse andata a Firenze,
non l’avremmo mai conosciuta. Questo fa riflettere su quanto, a volte, sia
necessario allontanarsi da certi contesti, per poter far esplodere il proprio
talento e, in alcuni casi (come questo), salvarsi.

Come nasce il titolo dello spettacolo?

Il titolo dello spettacolo vuole “includere” le
tantissime donne che, ancora oggi, nelle diverse parti del mondo, subiscono
forti discriminazioni e violenze, dalle più “piccole” fino ad arrivare alle
tragiche azioni che conducono alla morte. C’è ancora tanta violenza ovunque,
una violenza che va disinnescata. E, in tal senso, l’arte tutta in generale e,
nel nostro caso il teatro, la narrazione, la musica e il canto, sono strumenti
molto potenti.

Rosa  Balistreri diceva:” si può fare politica
cantando”. Le chiedo: si può fare politica anche con un “apparentemente
semplice” spettacolo?

Ogni gesto, anche il più “banale” è un atto
politico, nella misura in cui ha delle ripercussioni sulla società. Se si
ponesse l’attenzione su questo, se ciascuno di noi acquisisse vera
consapevolezza delle proprie azioni, anche piccole e quotidiane, penso che il
mondo ne gioverebbe. Ci vuole maggior cura delle relazioni con gli uomini, con
le cose, con il mondo. Più amore e rispetto ci vorrebbero, per valorizzare gli
uomini in ogni angolo del mondo.

Cosa può fare il teatro per migliorare la società?

Al di là della questione strettamente artistica, la
pratica teatrale, se ben condotta, attiva un processo di miglioramento del
singolo attraverso la relazione con l’altro. Attraverso il teatro abbiamo la
preziosa possibilità di metterci in discussione e di rivolgerci all’altro con
uno sguardo nuovo. Abbiamo l’occasione di creare le condizioni per veder
nascere una fertile comunità di uomini, che, per quanto mobile e provvisoria,
rende altresì viva e concreta la possibilità di riflettere e di rivoltarsi
costantemente, agendo affinché la diversità e la cooperazione siano sempre
ricchezza, nell’attivazione di un inedito processo di crescita condivisa e di
trasformazione continua, che ampliano costantemente i nostri orizzonti.

*Progetto GIOVANI SGUARDI

Annarita Risola è studentessa Corso di Laurea DAMS e Socia fondatrice Palchetti Laterali Università del Salento

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immagine di copertina Ricordare il poeta Dante

Ricordare il poeta Dante

Visioni
di Gigi Mangia

Per un teatro come koreja, che vive dello studio dei poeti e lavora ispirando la propria ricerca alle figure dei maestri della letteratura, ricordare nel mese di settembre l’anniversario del settecentesimo anno della morte del poeta Dante non è una ricorrenza da calendario, ma un momento di studio per continuare ad essere teatro di impegno e di confronto con la grande crisi;  un teatro aperto agli interrogativi sociali e culturali del nuovo futuro. Il teatro è la casa dei poeti ed è nato per dare tempo e spazio alla loro voce. Perciò il teatro è luogo di incontro, di partecipazione di ascolto. Dante Alighieri ha studiato l’uomo, le sue debolezze, le paure e i dubbi, la lotta contro il male e il bisogno di avere aiuto, di essere accompagnato nella vita da un maestro per superare quel difficile percorso nel bel mezzo della vita della “selva oscura”. La Divina Commedia è lo specchio della storia dell’uomo nella società senza tempo. In Dante Alighieri la parola si carica di significato e diventa visione. L’immaginazione invece diventa forza e disegna conoscenza, genera ascolto, origina partecipazione. Il sommo poeta, Dante, è senza tempo, il suo ruolo nel teatro è sempre vivo, sempre attuale

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