Calendario

Gennaio 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina La memoria non è convenienza

La memoria non è convenienza

ma conoscenza della storia e rispetto delle parole

Visioni
di Gigi Mangia

Il Corriere della Sera di Venerdì 29 Gennaio 2021 riporta nell’articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo: nessuna giustizia per Pearl. Il Pakistan libera i 4 killer. La famiglia: un’ infamia. È un’amara notizia quella della corte suprema di Islamabad, organismo supremo del Pakistan, l’ aver liberato i terroristi motivando che nessuno di loro doveva restare in carcere.

Ahmed Omar Saeed Sheikh, ed altri, avevano decapitato il giornalista Daniel Pearl in un video e lo avevano postato in rete per informare l’opinione pubblica del sangue terroristico politico e soprattutto, di come usare la paura come arma di ricatto.

Il sacrificio e la morte del giornalista , inviato in Pakistan, per il Wall Street Journal e il suo essere ebreo, carica ancora di ulteriore veleno e sdegno l’atto terroristico . Con la morte in video del giornalista Pearl, è iniziata una delle pagine più oscure, più violente, più criminogene della comunicazione, perché ha dato inizio al “teleterrore” e alla “telepaura”. E’ iniziata così, la campagna terroristica della Jihad di Al Quaeda.

Il mondo occidentale è stato sconfitto e reso impotente davanti alla paura perché non è stato capace di imporre il potere di far rispettare i diritti civili delle persone.

La decisione della Corte di Islamabad di liberare i terroristi criminali, sanguinari, è un’offesa irragionevole, politicamente irricevibile dai Paesi Occidentali, dai quali chiediamo, ci aspettiamo di vedere una reazione ferma e irremovibile contro questa decisione.

Non si tratta solo di un’offesa ad un giornalista ebreo da parte degli arabi terroristi, ma di un vero pericolo contro la libertà di stampa e verso la vita di tutti i giornalisti, che cercano di informare la politica violenta e repressiva subita dagli innocenti .

Non possiamo dimenticare il giornalista Jamal Khassoggi tagliato a pezzi con una sega dentro al consolato saudita e poi fatto trovare nella città di Istanbul in una valigia, solo perché con le parole aveva cercato di informare l’opinione pubblica mondiale della politica violenta e repressiva del principe dell’Arabia Saudita Bin Salman.

Conoscenza della storia e rispetto delle parole

Con quale rispetto della memoria e delle parole si parla di rinascimento in Arabia Saudita del Principe Bin Salman, il quale è noto in Occidente per la sua politica autoritaria e repressiva e per essere stato protagonista della sospensione dei diritti civili e di avere messo al bando le forze sindacali?
Si può essere falsi verso la memoria e scorretti verso le parole?
La memoria è fatica e studio, il rispetto delle parole è corretta educazione civile. La memoria non è convenienza, ma conoscenza della storia e corretto rispetto dell’uso delle parole.

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LE PECORE DELLA LUNA

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con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina La memoria aiuta a fare il futuro

La memoria aiuta a fare il futuro

Visioni
di Gigi Mangia

Il 27 gennaio la Giornata della Memoria fa 20 anni, fu istituita dal presidente Carlo Azeglio Ciampi e approvata dal Parlamento nel 2000.

Una scelta importante che ha tenuta viva la memoria sulla storia; è stata una finestra aperta sugli eventi più scuri e più duri dell’Europa ed è servita, soprattutto, a far conoscere anche ai giovani gli “specialisti dell’odio”.

La Giornata della Memoria si è avvalsa di molte testimonianze: ricordiamo quella del carabiniere Vito di Palma, oggi centenario, nato a Turi nel 1920 e residente a Roma. Di Palma fu un inviato come carabiniere speciale ad Atene, nel ’43 si rifiutò di aderire al nazismo e per questo fu rinchiuso in un lager in Austria.

La storia è ricca degli “specialisti dell’odio” che in Italia non ebbero opposizione. Benito Mussolini era a conoscenza dello sterminio degli ebrei, come anche il suo Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi, ma nessuno disse una parola per impedire che i treni carichi di ebrei raggiungessero Auschwitz.

La storia è ricca di figure ambigue: ricordiamo lo scienziato nato a Noicattaro nel 1880-1970 che sottoscrisse e partecipò alla stesura delle leggi raziali del 1938. Nicola Pende oggi si trova sepolto al centro dell’altare della Chiesa Matrice, l’Istituto Comprensivo del paese porta il suo nome.

La memoria serve per conoscere e serve soprattutto per prendere le distanze da quei personaggi che hanno mortificato e macchiato la storia dell’Italia. Oggi il tema delle testimonianze diventa importante perché i testimoni stanno per “finire”. Ci resteranno le testimonianze del digitale, del cinema, dei musei e dei teatri.

La musica, la poesia, la pittura, la letteratura sono le leve attraverso cui costruire la memoria della conoscenza e sono anche le discipline attraverso cui capire che la nuova identità dell’Europa nacque dalle macerie dell’Europa.

L’identità del nazifascismo era quella dell’individuo puro e perfetto, rappresentato dalla figura militare il cui corpo manifestava tutta la sua forza nell’eleganza della divisa, nel lucido degli stivali. Il nazismo, infatti, per realizzare il mito dell’io, doveva de-umanizzare l’uomo e difenderlo dall’inquinamento raziale e, quindi, dall’uomo ebreo di cui dichiarò la distruzione.

Il nuovo modello di identità dell’Europa rinata, risiede nell’individuo che deve trovare in sé la capacità di relazionarsi con l’altro di rispettarlo e di vivere con lui la libertà. La Giornata della Memoria serve proprio per fare questa esperienza e soprattutto per trovare la forza di non cadere mai nella banalità del male.

Hannah Arendt ci ha insegnato che l’uomo responsabile è anche l’uomo della libertà.

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immagine di copertina Teatro, Agorà della parola

Teatro, Agorà della parola

Visioni
di Gigi Mangia

Il 21 gennaio di cent’anni fa, a Livorno, nel Teatro
“Carlo Goldoni”, nasceva il Partito Comunista Italiano.

Il movimento operaio nelle fabbriche aveva vissuto il
biennio rosso (1919-1920) e aveva fatto esperienza dei limiti della politica e
vissuto il tormento del ruolo della politica nell’organizzazione della società,
svolto dagli intellettuali di cui Antonio Gramsci fu tra i primi maestri.

Il partito comunista nasceva in un teatro, nella casa
della cultura. Il teatro nella storia ha sempre rappresentato l’uomo, ha
accolto i suoi sogni, si è fatto carico della sua educazione e ha guidato la
sua emancipazione.

Il teatro, per le classi sociali deboli, è stato
sempre uno spazio libero e accessibile, è stato L’Agorà della parola, dove i
maestri hanno potuto insegnare agli oppressi, agli esclusi, come sognare una
vita migliore.

Nel ‘900, secolo dei totalitarismi e delle due grandi
guerre mondiali, il teatro è stato l’istituzione di riferimento, di riflessione
e di ricerca per vincere il tormento della cultura, che però, ha resistito al
nazifascismo e alla distruzione della violenza delle grandi guerre.

Il teatro non ha mai chiuso le sue porte all’uomo, ha
sempre favorito il suo bisogno di sapere e quello di essere ricercatore di
felicità nell’arte e con l’arte.

Per fare teatro bisogna conoscere l’uomo e bisogna
avere la capacità di accompagnare il suo cammino. I cent’anni di storia del
Partito Comunista, oggi profondamente cambiato, appartengono alla storia del
teatro, dove è nato, perché il tormento del ruolo della cultura nella società
non è finito, anzi, forse, si è fatto più complicato, più complesso e più impegnativo
rispetto al passato.

La chiusura dei teatri ha portato silenzio e ha fatto
diventare mute le città.

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immagine di copertina Non tutto il male…

Non tutto il male…

Visioni
di Guido de Liguoro*

Questa mattina ho sentito in radio Massimo Recalcati che
argomentava sulla Didattica A Distanza da un punto di vista, per me, nuovo e
che spero di sintetizzare correttamente: Perché concentrarsi solo su quello che
la DAD fa perdere e non su quello che fa guadagnare? Non vuol dire che tutto va
bene ma che non tutto il male… Speriamo e cerchiamo di avere i ragazzi in
classe al più presto ma facciamo tesoro di tutto quello che abbiamo scoperto,
inventato, imparato con la DAD.

Per me i tempi della didattica, a distanza o in presenza,
sono finiti da tempo; quello che mi manca in presenza, molto, è il teatro. E
vivo con disagio le alternative a distanza che i professionisti del settore mi
propongono. Forse anche io devo cambiare punto di vista sul TAD.

Mi sono visto proporre decine di spettacoli online,
offerta generosa, credo faticosa per chi la propone, dolorosa anche ma in
fondo, banale.

Ma ho visto anche molto di più, di diverso, di nuovo.
Molto che, forse perché concentrato su ciò che mi mancava, non sono riuscito ad
apprezzare.

Ho visto spettacoli in scatola, spettacoli consegnati a
domicilio nei cortili, spettacoli a sorpresa come in un caccia al tesoro,
spettacoli site specific in siti tanto improbabili per me da essere spettacolo
in sé, spettacoli proposti da palchi distribuiti su più città e più continenti.

Certo rimane la mancanza del contatto con il pubblico e
non solo per gli interpreti, anche per gli spettatori, quell’essere parte di.

Normalmente non guardo i talent alla televisione ma una
sera, capitatoci per caso, anche lo zapping ha un suo perché, mi sono trovato,
quasi, a teatro.

Di fronte al palco c’era una parete di schermi, su ogni
schermo il viso di uno spettatore collegato in diretta che diventava quindi
parte dello spettacolo, per gli interpreti e gli spettatori a casa, o a caso,
come me.

Il teatro uscito dai teatri ha saputo inventare nuovi modi di integrare la tecnologia e nuovi spazi di espressione. Sono certo che i professionisti sapranno farne tesoro anche quando gli applausi torneranno a viaggiare nell’aria della sala. 

*Meridionale per nascita, lombardo per formazione,
cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro, viaggi e
divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto,
appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un
solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo
per fare solo cose

appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve
fare!” Quasi attore in formazione, spettatore appassionato, attualmente cura il
blog parolemiti.net

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immagine di copertina Il ritardo del governo sulla scuola

Il ritardo del governo sulla scuola

Visioni
di Gigi Mangia

Il ritardo del governo sulla scuola nasce fra aprile e maggio del 2020 quando non si è capito che il Covid-19 stava portando dei cambiamenti profondi nell’organizzazione sociale e quindi nelle relazioni personali.

Si è perso tempo di studio prezioso per i giovani: meno si studia e più si è vulnerabili. A torto si è pensato che, superata la crisi, tutto sarebbe tornato alla vecchia normalità. È stato un gravissimo errore non vedere i ritardi della scuola, soprattutto i ritardi nella tecnologia digitale e ancor di più non aver avuto un’idea di scuola capace di rispondere ai bisogni formativi ed educativi del futuro delle nuove generazioni.

Si è perso tempo prezioso e soldi spesi inutilmente per i banchi a rotelle e non si è pensato invece a come far arrivare in sicurezza gli studenti a scuola. Nonostante la scuola sia la priorità del Paese, di essa si è solo parlato, senza ragionamenti né programmazioni.

La scuola del futuro

La scuola che non lascia indietro nessuno deve avere spazi aperti e accessibili, senza barriere e deve essere in rete con i musi, biblioteche, teatri e fondazioni culturali per imparare il mestiere delle arti e della scrittura per diventare generazione matura. Per cambiare la scuola servono soldi, molti soldi, per portare la rete della fibra ottica, tutti gli istituti devono essere cablati e interconnessi, ma soprattutto serve una “visione culturale” della scuola di domani. Anche il tempo della scuola deve cambiare: non può più essere quello del tempo delle lezioni con i professori, ma quello dello studio, della ricerca, dello scambio e della condivisione fra gli studenti.

La scuola del futuro è quella che non chiude mai, rimane sempre attiva, comunica sapere e promuove socialità. La nuova scuola ha bisogno di personale preparato al cambiamento. L’Italia nella conoscenza e nell’uso delle competenze tecnologiche è ultima in Europa. La scuola nuova deve essere quella di uno spazio sociale libero dal mercato e lontano dal capitalismo. La scuola deve essere l’incontro dei Maestri da seguire e ascoltare. I Maestri aiutano ad essere liberi e capaci di rispettare la vita degli altri.

La scuola siamo noi, nostro è il dovere di
lottare, di partecipare e di ascoltare. Nella scuola si cresce, si diventa
maturi e da essa dipende il futuro che vogliamo.

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immagine di copertina Il bello della diretta

Il bello della diretta

Visioni
di Guido de Liguoro*

Il bello della diretta

Sono
abbastanza grande per aver avuto la fortuna di vedere in televisione (canale
unico in bianco e nero) tanto teatro. I miei genitori non ne perdevano, e non
ce ne facevano perdere, uno. Ho conosciuto De Filippo, Govi, Baseggio e tutti i
grandi; i primi li ricordo meglio perché, bambino, mi facevano ridere. Gli
sceneggiati, mio padre non voleva vederli, i film, poco. Non ho mai capito
perché.

A teatro
i miei non andavano, tantomeno portavano noi piccoli; costava troppo, era un
divertimento da borghesi benestanti. Poi è arrivato il ’68, il teatro si è
fatto popolare e mi ha aperto le sue porte; in televisione non mi piaceva più.
Anche questo non capivo perché. Mi ci è voluto mezzo secolo per trovare una
ipotesi di risposta, effetto COVID.

Chiuse
le sale, il teatro è tornato a riproporsi sul video; ne ho visto una certa
quantità, non sempre ne ho goduto. E non parlo della qualità del testo o
dell’interpretazione, naturalmente. Parlo di tecnica.

Il primo
teatro in televisione era rigorosamente in diretta, camera fissa sul centro del
palcoscenico, poi, con le traduzioni televisione, le camere hanno cominciato a
moltiplicarsi, muoversi, “scegliere”. Tra un primo piano e uno zoom, il regista
televisivo ha cominciato a proporre una visione “indirizzata”, lo spettatore
era guidato, non più libero. Era lo stesso spettacolo? Per gli attori forse sì,
per lo spettatore sicuramente no! Migliore o peggiore? O solo un’altra forma di
spettacolo? Possiamo aprire un dibattito.

Dalla
fine degli anni 60, inoltre, alcuni programmi televisivi, quasi tutti i
teatrali, hanno cominciato a essere registrati e trasmessi in differita. O
trasmessi in diretta e ritrasmessi, magari anni dopo, in differita. Era lo
stesso spettacolo? Credevo di sì. Fino ad oggi.

Adesso
so che la differenza è nello spettatore che lo sa.

Sa che
se lo spettacolo è in diretta, l’attore che agisce non sa, come lui, che cosa
succederà un attimo dopo. Certo conosce la battuta, l’ha ripetuta mille volte
nelle prove e nelle repliche precedenti, ma questa sera è lì davanti a
spettatori che, magari a migliaia di chilometri di distanza, sono testimoni di
questo unicum, un momento diverso da ogni altro e irripetibile.

In
differita lo spettatore sa che tutto è già avvenuto e nulla lo potrà cambiare.
E’ lo stesso spettacolo? I pixel che si eccitano sul mio schermo sono gli
stessi, nella stessa medesima sequenza. I neuroni che si eccitano nel mio
cervello, no.

Ma anche
su questo possiamo aprire un dibattito.

*Meridionale per nascita, lombardo per formazione, cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro, viaggi e divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto, appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo per fare solo cose appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve fare!” Quasi attore in formazione, spettatore appassionato, attualmente cura il blog parolemiti.net

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immagine di copertina Teatro e pregiudizi

Teatro e pregiudizi

Visioni
di Guido de Liguoro*

Mi piace andare a teatro. Proprio la sensazione
fisica di essere immerso in una costruzione di realtà, finta ma non falsa,
direbbero gli addetti ai lavori. Costruzione condivisa con gli altri del
pubblico, dove autori, interpreti, registi e tecnici sono al tempo stesso
materia e forza lavoro.

Mi piace il repertorio classico, i concerti, soprattutto jazz, il balletto, l’opera, quasi tutto insomma anche se credo di essere abbastanza esigente. Ma quello che mi piace forse di più è il cosiddetto teatro sperimentale o il teatro d’innovazione. Forse proprio perché non esiste, o non è palese, certo non viene fornito al pubblico, un progetto rigoroso, mi sento più libero di apportare il mio contributo alla costruzione della realtà che sarà qui e ora solo mia e di quelli in sala con me.

Seguo quindi con attenzione i programmi delle
sale che privilegiano questo tipo di produzioni. Quando ci ho trovato una
rassegna di musica classica mi sono meravigliato. E mi sono chiesto perché; non
tanto perché la rassegna ma perché io mi meravigliassi. E ho constatato un mio
pregiudizio: un pregiudizio architettonico!

Nella mia testa, i teatri, nel senso di sale
teatrali, si possono classificare anche in base alla struttura e
all’arredamento. Proprio da questo discende, nella mia testa, il pregiudizio.

Ci sono i teatri classico/pomposi, tutti ori e
decori, panni rossi e lampadari di cristallo a goccia, come i teatri d’opera o
il Politeama Greco (consentitemi gli esempi territoriali da salentino recente).
Ci sono i moderno/razionalisti un po’ freddini, belli puliti e, soprattutto,
tendenzialmente scomodi, da sedersi un po’ sul fianco con le ginocchia in
bocca, tipo l’Arcimboldi o lo Strehler. L’Apollo in realtà non è poi così
scomodo.

Quelli che definisco bomboniere sono i teatri a
dimensione raccolta e possono essere anche molto diversi tra di loro, dal
paradigmatico Teatrino di Vetriano, al Real Teatro di Corte di Caserta, al
Palladio di Vicenza fino al nostro Paisiello. Ci sono poi decine, forse
centinaia di Cinemateatro che resistono Teatro nonostante l’estinzione
dell’avanspettacolo; tendono purtroppo a scomparire, come l’Antoniano.

Amo le sale popolar/militanti con i pavimenti freddi, le sedie scompagnate e la passione che traspira dai muri come il Comunale di Ruffano.

Infine, ma solo per dovere di ospitalità, i neri (avrei preferito chiamarli tetri ma teatri tetri proprio non si può sentire). Hanno nere le pareti, nero il palco a livello zero, e a volte anche le sedie sui gradoni ripidi. Spesso occupano uno spazio ex industriale. Esempio tipico il Libero di Milano. Lo so vi aspettavate altro. Ok, anche Koreja.

Ma veniamo al mio “pregiudizio architettonico”:
era (sì, un po’ lo è ancora, lo confesso) associare ad ogni tipologia di sala,
una certa tipologia di spettacoli, ampia fin che volete, non esclusiva,
naturalmente, ma pur sempre sgradevolmente restrittiva.

Non avevo mai associato ai “neri” la musica
classica.

Ma, fortunatamente, il teatro serve anche a questo: a emergere dai pregiudizi!

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