Rosa Balistreri
suono di voce e luogo dell’anima
Interviste
di Annarita Risola*
Angela De Gaetano, voce recitante e autrice del testo “Rosa,
Rose”.
Uno spettacolo dove la parola acquista il doppio significato che Aristotele gli attribuì nel De interpretatione : “suono di voce significativo per convenzione e simbolo delle affezioni che hanno luogo nell’anima”. Come nascono e che significato da alle parole utilizzate nel suo testo?
Dopo aver accolto l’invito di Ninfa Giannuzzi e
Valerio Daniele a prendere parte a questo progetto, ho attivato una fase di
studio. Ho cercato di “assorbire” la voce di Rosa Balistreri da semplice
ascoltatrice e, dopo aver attraversato da appassionata lettrice tutte le
vicende della sua vita, ho sentito che l’unico modo per poter raccontare la
storia di questa donna fosse procedere a ritroso, raccontando in terza persona.
Dalla sua morte alla sua nascita. In direzione contraria. Mi sembrava una modalità
perfetta per una persona “controcorrente” come Rosa.
Perché la scelta di parlare in terza persona?
Perché, a mio avviso, in questo caso è l’unico modo
possibile. In primo luogo, per una questione di rispetto verso la vita di Rosa,
nella sua autenticità. A mio avviso, la prima persona in questo racconto
avrebbe creato una stonatura. C’è una scelta d’autrice precisa, che danza tra
le parole, scegliendo un percorso non lineare, che procede per frammenti, con
l’obiettivo di arrivare alla sua nascita, che per me rappresenta, in questo
caso, un forte desiderio di ri-nascita. Raccontando in terza persona, ho
cercato di creare la giusta distanza, per sfiorare con una carezza la sua vita
già troppe volte calpestata. Ho cercato di abbracciare i sentimenti nel modo
più schietto possibile, da donna a donna, senza cercare di essere
(teatralmente) altro da me. Per avvicinarmi ad un racconto che fosse il più autentico
possibile, senza l’intermediazione del teatro. Il mio intento era quello di
creare un racconto che precipitasse in un atto d’amore puro.
Secondo lei è esistita o esiste un’artista paragonabile a Rosa
Balistreri?
Ogni artista è unico e il paragone con altri non è
mai cosa che rende giustizia all’arte. Posso però dire che Rosa rappresenta
tutte le donne, artiste e no, che lottano quotidianamente contro le
ingiustizie, con una forza inaudita e un istinto di sopravvivenza
sorprendentemente primordiale.
Lo spettacolo è pregno di drammaticità. La stessa Rosa definiva
la sua nascita: “ il più grande dramma della sua vita”. Se fosse vissuta in
quest’epoca, avrebbe avuto lo stesso destino?
Sicuramente il contesto storico e le condizioni
sociali erano completamente diverse: povertà estrema, sia materiale che
educativa, violenza domestica ripetuta e una guerra mondiale non sono fattori
trascurabili. Nonostante questi drammi, Rosa è riuscita a riscattarsi
attraverso la sua indole ribelle, il suo cuore e la sua voce. Fuggire dalla
Sicilia è stato un passaggio fondamentale della sua vita. Se non fosse andata a
Firenze, forse, non avrebbe avuto tutta una serie di opportunità che poi
l’hanno condotta a diventare una cantautrice. Forse, se non fosse andata a Firenze,
non l’avremmo mai conosciuta. Questo fa riflettere su quanto, a volte, sia
necessario allontanarsi da certi contesti, per poter far esplodere il proprio
talento e, in alcuni casi (come questo), salvarsi.
Come nasce il titolo dello spettacolo?
Il titolo dello spettacolo vuole “includere” le
tantissime donne che, ancora oggi, nelle diverse parti del mondo, subiscono
forti discriminazioni e violenze, dalle più “piccole” fino ad arrivare alle
tragiche azioni che conducono alla morte. C’è ancora tanta violenza ovunque,
una violenza che va disinnescata. E, in tal senso, l’arte tutta in generale e,
nel nostro caso il teatro, la narrazione, la musica e il canto, sono strumenti
molto potenti.
Rosa Balistreri diceva:” si può fare politica
cantando”. Le chiedo: si può fare politica anche con un “apparentemente
semplice” spettacolo?
Ogni gesto, anche il più “banale” è un atto
politico, nella misura in cui ha delle ripercussioni sulla società. Se si
ponesse l’attenzione su questo, se ciascuno di noi acquisisse vera
consapevolezza delle proprie azioni, anche piccole e quotidiane, penso che il
mondo ne gioverebbe. Ci vuole maggior cura delle relazioni con gli uomini, con
le cose, con il mondo. Più amore e rispetto ci vorrebbero, per valorizzare gli
uomini in ogni angolo del mondo.
Cosa può fare il teatro per migliorare la società?
Al di là della questione strettamente artistica, la
pratica teatrale, se ben condotta, attiva un processo di miglioramento del
singolo attraverso la relazione con l’altro. Attraverso il teatro abbiamo la
preziosa possibilità di metterci in discussione e di rivolgerci all’altro con
uno sguardo nuovo. Abbiamo l’occasione di creare le condizioni per veder
nascere una fertile comunità di uomini, che, per quanto mobile e provvisoria,
rende altresì viva e concreta la possibilità di riflettere e di rivoltarsi
costantemente, agendo affinché la diversità e la cooperazione siano sempre
ricchezza, nell’attivazione di un inedito processo di crescita condivisa e di
trasformazione continua, che ampliano costantemente i nostri orizzonti.
*Progetto GIOVANI SGUARDI
Annarita Risola è studentessa Corso di Laurea DAMS e Socia fondatrice Palchetti Laterali Università del Salento