Il National Dante Day, fra terzine e musica folk
Visioni
di Gigi Mangia
I poeti non fanno rumore nella storia, la scrivono. Non indossano gli abiti di moda, sono discreti nella solitudine riflessiva. Sono maestri del pensiero, insegnano a conoscere, ad usare le parole giuste piene di valore, ricche dei sapori della realtà per vivere il mondo dell’altro, per non avere paura delle differenze, per fare un viaggio costruito sulla forza creativa dell’immaginazione. Per vedere l’atlante delle debolezze dell’uomo. La Divina Commedia del sommo Poeta, è storia ad occhi aperti: a non avere paura del peccato e sentire il fascino magnetico del mistero. Il Poeta fiorentino ha dato all’Italia la lingua. Il suo grande merito è stato quello di stabilire un principio di relazione, il riconoscimento di identità, l’affermazione della resilienza fra lingua e popoli. Nella sua opera “Il Devulgari Eloquentia” il Poeta è stato filologo, politico e filosofo e ha fatto nascere il popolo italico nella sua lingua. In politica Dante Alighieri fu grande oppositore del papa Bonifacio VIII, capo dei guelfi neri a Firenze. Dante Alighieri seguì invece l’imperatore Arrigo VIII il quale morì nell’agosto del 1313 a Buonconvento (Siena) ponendo fine alle sue speranze di ritornare a Firenze e a quelle di coloro i quali desideravano il bene dell’Italia.
In mezzo al disordine, alle ingiustizie, alle ingerenze politiche del Papato, alle lotte civili, alle guerre continue tra città e città, l’dea del principe giusto e riordinatore era associata all’idea dell’Impero, per il quale l’Italia fosse, come Dante la proclamava, “il giardino dell’Impero”.
Era questo il grande disegno politico che il Poeta sviluppò nel “De Monarchia”.
L’evento però che cambiò profondamente la vita di Dante, fu la seconda sentenza del 10 marzo 1302 in cui veniva accusato “contro i quali fu proceduto con inquisizione fatta dal nostro ufficio e dalla nostra curia alle nostre orecchie per mezzo di una pubblica voce le parole che informavano della condanna per baratto, per inique estorsioni e illeciti lucri. Con ogni maniera e diritto sentenziamo, in questi scritti, che qualunque dei predetti in qualunque tempo venisse in potere del comune deva essere bruciato col fuoco sì che muoia”.
Questa sentenza, mai accettata dal Poeta, diede inizio al suo lungo esilio politico che troviamo nella sua grande opera: La Divina Commedia, l’opera più amata dagli italiani, la più vicina al sentimento delle
classi popolari.
Oltre alle traduzioni in lingue classiche, europee ed extra-europee, la Divina Commedia vanta anche un discreto numero di traduzioni in diversi dialetti italiani, realizzate tra il XVII e il XX sec. proprio per dare spazio e voce alla pluralità delle tradizioni culturali e sociali delle comunità italiane.
Il maestro concertatore della Notte della Taranta, Ambrogio Sparagna, ha cantato i versi delle Commedia dantesca. Il ritmo e la musicalità delle parole sono perfettamente in armonia con la scala musicale semplice (corta) della pizzica salentina; i versi in terzine e l’organetto del
maestro Sparagna sono il filo rosso che declina e sviluppa l’armonia della pizzica in cui la voce del maestro è semplice, chiara come è quella dei pastori.
Il maestro Sparagna, esperto studioso del folk, ha scritto e realizzato una pagina musicale popolare e colta rispettosa delle tradizioni, dimostrando che la Divina Commedia è la poesia dell’Europa
mediterranea. I giovani, le scuole, il teatro vive studia e rappresenta la Commedia dantesca, che è un’opera che non invecchia mai. Vivere Dante Alighieri per essere, almeno per un giorno, poeti.