Al presente: intervista a Danio Manfredini
Interviste
di Annarita Risola*
Lei parla spesso di solitudine,
perché?
Forse perché percepisco come
condizione drammatica la difficoltà di creare relazioni. Di essere in relazione
col mondo e quello stato di isolamento che ne consegue è quello di una sorta di
esilio, un essere qui senza esserci a pieno, magari relegati in qualche stanza
psichiatrica o in prigione o all’ospizio o chiusi in casa con la propria
vecchiaia. La condivisione del viaggio penso possa essere una grazia e camminare
sempre da soli, non avere nessuno a fianco, alla lunga può essere triste, a
meno che uno sia votato all’eremitaggio, a un cammino mistico verso il
trascendente e quella è la compagnia ricercata, ma l’umano comune mi sembra che
aneli sempre a un po’ di compagnia.
Ha lavorato in strutture
psichiatriche, quale l’insegnamento che ne ha tratto?
Innanzitutto il privilegio di
stare vicino a persone con un’unicità, un senso di autentico e speciale, non
uniformato al resto della società, un’affermazione direi spesso
involontaria, di essere come ci si sente. Ho relativizzato anche molto quelli
che potevo chiamare allora“i miei problemi” di fronte a
biografie con sfondi molto più drammatici rispetto a quelli della mia
vita.
Ho avuto modo di essere
testimone di situazioni drammatiche e di coglierne le parole e i gesti che
emergono in quella condizione di estrema tensione psichica e di conseguenza
un’esplosione di forti emozioni, un aspetto che sicuramente ha
alimentato anche il mio lavoro di attore.
Qual è l’intento comunicativo dei
continui “fermo immagine” all’interno dei quali lei si muove e più volte
vibra?
Non so a cosa si riferisca
esattamente la domanda. Se è relativa ad alcuni fermo immagine di “al presente”
riconosco la figura dell’inizio immobile. Oppure qualche momento in cui viene
in rilievo la presenza immobile del manichino.
Direi che a volte corrispondono
alla tensione che c’è prima di scagliare una freccia dall’arco. Quel tirare
indietro per lanciare in avanti. Altre volte mi sembrano catalizzatori di
immagini che si sovrappongono alla presenza. Come una lavagna che può essere
scritta attraverso le immagini che affiorano. Che una frase dell’artista
Alberto Giacometti che utilizzo nella presentazione di “al presente”:
“ Quando tengo in mano la vita
dei modelli per qualche centinaio di minuti di posa, sento il loro spirito che
vagabonda. Certo, non glielo posso impedire; non ci penso neppure; non
posso coglierli che nella loro fuga.Eccoli percorrere le strade, le piazze, la
campagna, superare le frontiere, gli oceani.”
qui l’immobilità del modello è
intesa come un’immobilità molto dinamica nel dentro, quello stato di fermo
che permette la contemplazione di immagini molto dinamiche del pensiero,
dell’immaginazione.
Cosa emoziona Danio
Manfredini?
Forse tutto quello che fa parte
dell’esistenza terrena: le vicende degli umani, anche quelle degli
animali, delle piante, tutto quello che i buddisti chiamerebbero esseri
senzienti. Questo affrontare l’esistenza ogni giorno, ogni notte, gli
esseri umani insieme alle loro capacità ma anche fragilità, vulnerabilità.
Anche mi può commuovere un albero piegato dal vento su un’isola e resiste
negli anni al passare delle stagioni, delle piogge, del caldo,
del freddo, nella sua solitudine di albero.
Se ci si guarda intorno e si
osserva la vita intorno, c’è di che commuoversi.
Qual è il messaggio
che intende comunicare, oltre quello palesato dalle immagini?
Non penso mai a un messaggio
che voglio veicolare. Vorrei poter invece cogliere il soggetto dell’opera così
come lo percepisco.
Come nasce questo spettacolo e
perché questo titolo?
Al presente nasce dopo che ho
lasciato la comunità psichiatrica dopo dodici anni di lavoro. Volevo portare
con me un po’ dei pazienti, i solchi che hanno scavato in me nel corso
dell’esperienza. La stanza bianca richiama il luogo della psichiatria, io
incarno i corpi dei pazienti che appaiono al manichino che mi rappresenta: Il
mio doppio.
Il manichino visita la stanza e
nella stanza come fantasmi appaiono i diversi corpi dei pazienti attraverso il
corpo del commediante.
Vengono a dire la loro. La
dicono a quell’artista pieno di domande e dubbi, sulla vita e sull’arte.
Il titolo “al presente” è
in relazione col passare del tempo. È un lavoro del 1998 che ho portato in giro
per molti anni ed è uno di quei pochi spettacoli che hanno potuto dare
molte repliche. Il tempo passa, le vicissitudini della mia vita cambiano, le parole
che i pazienti dicono sono sempre quelle stabilite dalla partitura dello
spettacolo ma risuonano dentro di me in modo specifico in relazione al
mio presente. È brindisi al tempo presente, un mio modo per
incontrarlo.
Quale il suo prossimo lavoro?
Sto lavorando a partire dal
tema del lager, della shoah. Credo di trattare del tema dell’ossessione,
qualcosa che cattura la mia attenzione al di là della mia volontà. Ma non
voglio parlarne ora, sono in pieno processo di creazione e scopro cosa sto
trattando veramente, solo nel processo pratico delle prove che sono iniziate da
poco tempo.
Come ama definirsi,
attore o performer?
Un teatrante, che cerca di
muoversi con una cerca di praticare aspetti specifici che riguardano l’arte
teatrale, il lavoro dell’attore, la regia, la drammaturgia, la scenografia…
Lei è un artista completo
:cantante, attore, disegnatore, regista ecc. ma cosa l’appaga di più?
Nel migliore dei casi l’insieme
di tutte queste cose. L’arte del teatro permette di combinare queste
diverse discipline e di contribuire con esse a inventare delle opere che le
possano contemplare.
Manfredini si
considera un “poeta-pensatore”, secondo il pensiero heideggeriano?
Non conosco abbastanza bene il
filosofo in questione, per poter affermare che mi rispecchio nel
suo pensiero. Posso dire che
un poeta è necessariamente un pensatore.
*Progetto GIOVANI SGUARDI
Anna Risola è studentessa Corso di Laurea DAMS e Socia fondatrice Palchetti Laterali Università del Salento