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Marzo 2022


28 apr

Tourneè

immagine di copertina Il mio ricordo della voce di Carmelo Bene

Il mio ricordo della voce di Carmelo Bene

Visioni
di Gigi Mangia

Il 16 marzo ricorre il ventesimo anniversario della morte di Carmelo Bene. È difficile dire chi sia stato per noi Carmelo Bene: un grande intellettuale, un grande poeta, un maestro di teatro, una forza creativa illuminante sempre inquieta, mai ferma, sempre impegnata ad arricchire l’estetica della sua arte.

Carmelo Bene è stato un maestro difficile e scomodo perché egli stesso era impegnato nella ricerca di se stesso come forza, come verbo creativo, come voce. L’esperienza, il trasporto, la contaminazione del corpo nel ritmo della poesia sono stati, a mio avviso, gli elementi fondamentali della Divina Commedia, recitata da Bene dalla Torre degli Asinelli a Bologna.

Quel giorno davanti ad oltre diecimila persone, la sua voce è stata una magia, la pura forza della parola, capace davvero di far entrare con il corpo ciascuno dei presenti nel viaggio Infernale. Carmelo Bene con la sua voce creava, dava vita ai corpi, li coinvolgeva nell’ascolto, li spogliava dal tempo. Li portava ad essere nella musica e nella parola ed era protagonista, attore, creatore di emozione.

Ricordo ancora la sua voce con la quale dava risalto al pensiero dei grandi della letteratura, da Italo Calvino a Nietzsche: erano le sue interviste impossibili. Ha lasciato la sua voce alla radio, sempre straordinario, sempre bello da sentire.

Carmelo Bene è stato un figlio particolare del Salento. La luce, la terra, l’acqua e il vento, il sole e lo scirocco erano il suo corpo, la forza del suo essere poeta, attore, teatro ed erano anche le radici del suo essere voce degli Dei, mito di Dionisio. È stato capace di illuminare di modernità la cultura pagana e di fare esperienza di cristianità col Santo dei Voli di Copertino.

La sua identità, la sua appartenenza, il suo essere salentino sono presenti fin da giovane nei suoi versi, infatti così poetava:

“La mia vita è d’acqua.

È di musica. Acqua è musica. Musica d’acqua.

Domani il suono di quest’ora

si sfiumerà sul mare

…e sia il nostro

silenzio a colpirci in un bacio…

nel suono del mare”

Carmelo bene visse i suoi ultimi anni di vita a Otranto, dove la prima
luce del giorno incontra il mare: era questo il paesaggio nella vena creativa dell’arte di Carmelo Bene.

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immagine di copertina C’è ancora troppa violenza <br> contro le donne

C’è ancora troppa violenza
contro le donne

Visioni
di Gigi Mangia

Lettera aperta

Il mio tempo è iniziato nei tuoi occhi, la mia vita al tuo seno. Nelle tue braccia ho scoperto l’amore. Tu hai sempre scaldato il mio corpo e hai sentito il mio cuore, sei stata segreta. Tu sei stata per me come
un fiore, hai riempito i miei gironi di profumi e colori. Tu non meriti il maschilismo, è più amaro del veleno, offende la tua storia, inquina la nostra felicità. L’8 Marzo è una pagina bianca. Nel primo rigo bisogna scrivere la parola “SCUSAMI se ho mancato di seguire la strada che tu mi volevi insegnare: amare e basta”.

C’è troppa violenza contro le donne, l’8 Marzo non può essere una giornata di festa, ma di riflessione.

Vorrei dedicare l’8 Marzo a una bambina “Embla Ademi”, una piccola bambina di 11 anni della Macedonia del nord, affetta da sindrome di
Down è stata vittima di maltrattamenti e di atti di bullismo dai suoi compagni di classe.

È ancora inaccettabile minacciare e mettere in pericolo i bambini, soprattutto quando sono affetti da problemi fisici e deficienze nello
sviluppo. L’uguaglianza è un processo di educazione e comincia proprio a scuola, il traguardo però per raggiungere l’uguaglianza e la parità di genere è ancora lontano.

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immagine di copertina Per i grandi poeti il tempo <br> non finisce mai

Per i grandi poeti il tempo
non finisce mai

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di Gigi Mangia

Cent’anni fa a Casarsa, in Friuli, nasceva Pierpaolo Pasolini, un intellettuale divenuto modello della cultura italiana. Pierpaolo Pasolini secondo me non è stato un poeta profeta, al contrario è stato un genio e un talento, una forza creativa in grado di sperimentare i grandi linguaggi del novecento. Pasolini infatti fu poeta, pittore, produttore cinematografico. Nella sua vita inizialmente il poeta ebbe un grande amore per il padre dal quale peró si allontanó quando tornó dall’Africa perchè era diventato duro e violento.

Alla figura del padre, Pasolini sostituì quella della madre alla quale fu profondamente legato e da cui non si separó mai, si prese sempre una grandissima cura ed ebbe sempre un grande e profondo amore. Un articolo di Pasolini creava, sui giornali, grande discussione e onde lunghe di pensiero. Il poeta fu sempre in lotta, diverso e lontano dal costume
e dalle norme. La sua più grande sofferenza fu quella di essere accusato di violenza sessuale su minori, reato per il quale subì un processo.

Di Pierpaolo Pasolini ci rimane il mistero e l’ombra della sua incredibile morte all’idroscalo di Ostia, legata alla macchina che più volte passò sul suo corpo.

Pasolini ancora oggi è un amico, una guida, un compagno nella ricerca e nella sperimentazione, è un poeta maestro, per questo il suo tempo non finisce ma continua.

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immagine di copertina Gli invisibili innocenti della guerra in Ucraina

Gli invisibili innocenti della guerra in Ucraina

Visioni
di Gigi Mangia

Secondo la Croce Rossa, l’UNICEF e l’UNHCR, sono almeno 17 milioni i bambini vittime della guerra, sono vittime innocenti e invisibili nella narrazione del conflitto. Per loro la violenza della guerra è senza regole, priva di ogni forma di rispetto della loro vita. Nelle città di guerra l’aria è irrespirabile, il rumore delle armi causano terrore, i bambini muoiono sotto il cielo nero. Non hanno nessuna colpa e noi dovremmo avere il coraggio di chiedere scusa per averli fatti nascere in un Mondo di guerra. Sono bambini che hanno bisogno di essere curati dalle ferite di guerra, di essere aiutati a superare il trauma causato dalle armi, e di essere stati allontanati di notte dalle loro case, strappati al loro letto, svegliati in piena notte per scappare nel buio gelato per essere allontanati dai loro padri, portati al confine dove essere consegnati alle loro madri, liberando i loro papà a tornare a combattere per difendere, dai russi, la loro terra e la loro libertà.

La guerra che uccide i bambini, priva il Paese di avere la continuazione della generazione, causando la morte sociale e l’impoverimento della società. L’arte, la cultura, possono essere utili ad evitare la follia del dittatore russo. L’arte, infatti, può fermare e sconfiggere la guerra. Tocca a noi l’impegno di incontrare e scegliere le parole, per conoscerle, per comprenderle e per poi usarle, per cambiare, quindi per costruire un modello culturale fondato sulla pace e sul riconoscimento dei popoli come fratelli

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immagine di copertina La guerra  spegne la luce e <br> cambia la paura

La guerra spegne la luce e
cambia la paura

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di Gigi Mangia

Il 21 febbraio ricorre l’anniversario della scoperta a Codogno del paziente uno” ed è stato l’inizio del tempo della paura dell’epidemia nel divano causata dal Corona Virus. È stata una vita di solitudine e di ricerca di notizia nei siti. La rete è stata come la nostra casa, il divano la postazione preferita da cui navigare sui social, diventando esperti di virus. La paura ci ha posseduti e vissuti, ci ha fatto sentire nudi e disarmati, come corpi vuoti senza socialità. Porteremo ancora, per molto tempo, i segni del Corona Virus che ha cambiato le nostre abitudini di vita e di relazioni sociali, rimangono ancora malattie sconosciute, come quella del “long covid”. Non siamo ancora liberi; per noi è cambiata nel divano, solo la paura. Ora dobbiamo fare i conti con la paura della guerra. Una guerra fatta con la strategia della propaganda. Tutti, dal nostro divano, abbiamo potuto leggere le dichiarazioni di guerra, giorno dopo giorno. Nei giornali e nei siti, abbiamo potuto vedere i movimenti sia dei soldati, sia dei carrarmati. Gli effetti della guerra, però, li abbiamo visti e subiti nelle bollette di luce e gas, compresi gli aumenti della spesa nel carrello ai supermercati. Una sintesi, molto efficace, è quella dell’economista Mario Deaglio che, nell’articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa di Torino, scrive: “dalle pallottole ai bilanci di famiglia” approfondendo le conseguenze e la causa dell’aumento dei prezzi. In questa guerra fatta di incontri e di parole, l’Italia è la più penalizzata, perché dipende dal gas della Russia, per il 42% del suo fabbisogno e del grano. La paura la viviamo dal divano. Attraverso lo smartphone, ognuno di noi può leggere le dichiarazioni dei Ministri, può vedere gli incontri fatti da Vladimir Putin con i grandi Capi di Stato seduti a distanza nel lunghissimo tavolo bianco. Ancora si possono vedere i carrarmati russi, segnati con la lettera Zeta per essere riconosciuti, sia per facilitare i loro movimenti, sia per non essere colpiti. Anche nel 1968, nell’invasione di Praga in Cecoslovacchia, i carrarmati dell’Unione Sovietica erano segnati con strisce bianche per essere riconosciuti, per facilitare i loro movimenti e non essere colpiti. Nella propaganda si vede il pericolo della guerra e per passare alle armi basta una scintilla oppure una parola sbagliata. La politica della propaganda ha le leggi del tempo per essere determinante nella comunicazione. Vladimir Putin, infatti, all’indomani della chiusura delle Olimpiadi Invernali di Pechino, la sera del 21 febbraio, ha deciso di invadere con i carrarmati il Donbass pronunciando un discorso politico, teso ad esaltare la storia dell’Unione Sovietica imperialista, sostenitrice dei popoli fratelli comunisti, in particolare, dell’Ucraina. L’orologio politico dell’Europa sembra tornare nel ‘900 e l’Europa degli Stati, si scopre debole, senza una politica estera.

Ora mi domando se la guerra è ancora virtuale, oppure se è prossima ad iniziare.

La nostra Puglia è esposta ai pericoli di questa guerra perché nella nostra regione ci sono basi aeree americane.

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immagine di copertina La parola guerra nel progetto del teatro Koreja: la città delle parole

La parola guerra nel progetto del teatro Koreja: la città delle parole

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di Gigi Mangia

Immagino: la città delle parole come una tipografia dove arrivano parole per scrivere la polis del teatro su cui sventola la bandiera arcobaleno, la bandiera della pace di un teatro contro la guerra. Scrivere non è solo atto creativo, ma esperienza di crescita come, molto bene, insegnò a fare il pedagogista Mario Lodi nella scuola elementare. Le parole servono per aprire relazioni sociali e personali, per scambiare il pensiero, per riempire il silenzio. Per vincere l’inutile solitudine e per tendere una mano e fare esperienza di comunità. Per vivere in teatro.

Le città sono senza pace nel mondo. Ci sono ben 22 guerre. Nel terzo millennio si sono spesi già più di duemila miliardi di dollari per costruire nuove armi e 43 Paesi hanno sommergibili da guerra sotto le acque del mare. L’industria bellica è quella che ha il portafoglio con maggiori profitti. La guerra spaventa, causa crisi e porta paura e fame nelle città.

La guerra in corso sta cambiando pelle, diventando guerra di propaganda in rete e nei siti. L’America comunica al Mondo che il 16 febbraio la Russia farà il primo passo per iniziare la guerra contro l’Ucraina. Il Presidente Putin ha mobilitato centocinquantamila soldati ai confini dell’Ucraina dichiarandola un’esercitazione, ma se guardiamo la carta geografica ci accorgiamo che centocinquantamila soldati con mezzi da guerra blindati, non sono un’esercitazione. Fa paura. Non solo. Raccontare la guerra in rete, parlare della debolezza della diplomazia in politica è far emergere il sentimento di paura e far sentire disarmata la società civile. La propaganda della guerra ha già fatto vedere il trionfo dei profitti con l’aumento del gas e del petrolio a danno dei cittadini.

Quale strada potrebbe evitare il succedersi di una guerra come quelle del ‘900 in Europa? La fiducia e il risveglio dei giovani, di coloro che vengono dal futuro e possono scrivere, con parole nuove, una città senza guerra, la polis del dialogo, del coinvolgimento di tutte le arti per narrare una città senza paura, capace di offrirsi attraverso l’ascolto e la scoperta dell’Altro.

La guerra è inutile, non risolve, ma crea problemi, per questo la città delle parole deve cancellare la guerra dal suo vocabolario.  Il teatro chiede di scrivere parole di pace per arrivare al riconoscimento del disarmo nucleare riconosciuto da tutti gli Stati. Avere città senza la paura della guerra non è utopia, ma un impegno per narrare il futuro delle nuove generazioni e il loro desiderio di vivere tempi di pace.

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immagine di copertina La città delle parole  <br >nell’Europa dei muri

La città delle parole
nell’Europa dei muri

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di Gigi Mangia

Senza le parole, la città sarebbe come un silenzio vuoto fatto di spazi immobili, di marmi e bronzi muti. Sarebbe una città disegnata dalle ombre nella notte senza la luna. Le parole sono la vita per la città; non può farne a meno, perché sarebbe come un foglio bianco fuori dalla narrazione della storia priva di significati. La città, infatti, si è fatta con le parole, necessarie per vivere e per abitare. È nata per favorire l’incontro e per promuovere la cultura delle differenze e delle convivialità. Il pensiero ha fatto il passaggio e dalle ombre è diventato conoscenza, si è fatto progetto di socialità.

La città nella storia del Mediterraneo ha fatto la prova di declinare il pensiero di Atene con l’aspirazione della fede di Gerusalemme riuscendo a fare l’esperienza della cultura cristiana. Era quella la città aperta senza mura, pronta per l’accoglienza. Ora è cambiata, ha paura, si è chiusa e percepisce nello straniero il suo nemico. 

Anche l’Europa è cambiata. Ora costruisce muri alti, come quello della Polonia in lamiera, alto 5 metri e lungo 180 chilometri: muri per difendersi, per impedire il passaggio agli immigrati in fuga dai loro paesi in guerra. L’Europa dell’Illuminismo fa passi indietro perdendo i valori della cultura del rispetto della persona alla base del progetto dell’Illuminismo Umanistico affermatosi alla fine della Seconda Guerra Mondiale come superamento della città della morte quale fu il campo di Aushwitz.

Per rinascere servono parole nuove. Per abitare lo spazio e vivere il tempo della “polis delle parole” serve una grammatica capace di accendere il desiderio di ascoltare l’Altro, di guardare i suoi occhi e non voltargli mai le spalle. Bisogna lavorare per liberare la città dalle catene dell’indifferenza che impediscono la ricerca della conoscenza e dell’accoglienza del diverso.

La città delle parole può essere la strada, il cantiere, in cui lavorare per una città dove lo studio del passato e la memoria possono servire per affermare la responsabilità del presente, evitando di perdere
la lezione della storia.

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immagine di copertina La fotografia taglia le unghie alla censura

La fotografia taglia le unghie alla censura

Visioni
di Gigi Mangia

Il 21 Gennaio, giornata mondiale degli abbracci, è arrivato in Italia il bambino Mustafa accolto dalla città di Siena. Il piccolo Mustafa di 5 anni , è nato senza gli arti perchè la sua mamma ha respirato i gas chimici delle armi usate nella guerra siriana. Il padre è mutilato per aver perso una gamba a causa dello scoppio di una bomba.

Le 2 vittime innocenti saranno curate al centro di Butrio in Italia specializzato per le protesi, famoso per aver fornito le protesi agli atleti paralimpici e ai grandi invalidi del lavoro. La foto di Mustafa , del fotografo turco, ha commosso il mondo. Nella foto si vedono le grandi mani del padre, con la stampella, alzare verso il cielo il bambino sorridente e felice quando i suoi occhi sono all’altezza degli occhi del padre. La foto è uno schiaffo alla guerra siriana e alla politica incapace di trovare la pace tra i popoli. La fotografia è importante quando fa la differenza, quando non appiattisce nel presente la comunicazione ma la spinge e la proietta oltre la cronaca.

La fotografia ha un grande ruolo è una grande forza. La fotografia continua ad essere un opera d’arte una ricerca estetica. La sua vita però non è più quella di stare esposta sulle pareti dei musei, ma di andare nelle pagine dei giornali, nei siti come nei telefoni smartphone per informare, per denunciare la guerra, la violenza e il dolore degli esclusi. La fotografia è diventata un potere disponibile è facile democratico nella denuncia. Il fotogiornalismo ha tagliato le unghia alla censura dei tiranni. Sono molti infatti i giornalisti finiti in prigione oppure fatti fuori uccidendoli. Il cinema e il teatro, la fotografia e la musica sono impegnati per denunciare le guerre e per difendere invece tutti i valori civili conquistati con le dure lotte fatte contro tutti i regimi di ogni colore politico.

L’ arte non si piega a nessuna forza , obbedisce solo all’ uomo nato per essere libero.

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immagine di copertina È forse questa la vera “Misericordia”?

È forse questa la vera “Misericordia”?

Critica
di Annarita Risola

Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! (A. Manzoni -Promessi Sposi- cap. XXI)

E’ il ticchettio ritmato e veloce dei ferri da maglia ad accendere l’attenzione del pubblico e le luci in sala. In fondo al proscenio su una linea orizzontale, a quattro sedie, si alternano giocattoli e cavallucci. Partendo da sinistra, siedono due donne, un giovane uomo ed un’altra donna. Le prime due parlano a bassa voce e se la ridono di gusto, la terza, seduta a destra sferruzza, di tanto in tanto le guarda con aria triste e tende loro l’orecchio, nel tentativo di capire ciò che si stanno dicendo. Vicino a lei un ragazzo, magro, pallido, con addosso una veste a fiori piuttosto malridotta, si muove in maniera strana, dondola, proietta il busto in avanti con dei movimenti a scatto e ripetitivi.

Intanto una delle due donne si alza, viene avanti e guarda il pubblico, la segue l’amica, poco dopo si avvicina anche la terza, quella dai capelli rossi e ricci, raccolti come se fosse un pon pon. Le donne però continuano ad ignorarla, finché quest’ultima non grida “Arturo” e questi immediatamente corre verso di lei. Ma perché Bettina lo ha vestito così? Questa è la domanda che Nuzza e Anna le pongono. Quel vestito preso dai rifiuti apparteneva ad una di loro, viene accusata di rubare il cibo dal frigo, di non pagare l’affitto…ma Arturo è lì che ascolta e l’abbraccia forte. La lascia solo dopo essere stato chiamato più volte da Anna, che gli mostra una scatola nella quale c’è una collana e una foto di Lucia, la madre di Arturo mentre era incinta.

“Oh che bel castello marcondirondirondello”, sulle note di questo girotondo, inizia il racconto dell’infanzia di Arturo, che ora indossa una vestaglia fiorata da donna e gira intorno a sé stesso, al centro di quella che ora è la sua stanza, con lo sguardo felice e con in mano uno scopino per la polvere. “Dove c’è un bambino c’è sempre la crianza” ricorda Anna, mentre come fosse una favola racconta la storia di Lucia, loro amica e collega di quel particolare mestiere, che la portò ad incontrare quell’uomo detto “Geppetto” poiché falegname. S’intratteneva con lei come tutti gli altri, ma le portava dei dolci e lei si era innamorata, voleva cambiare vita e così era rimasta incinta, lui però aveva il vizio di bere e diventava violento, la picchiava, quella sera più delle altre volte, persino sulla pancia… perciò Arturo nacque di sette mesi e Lucia morì subito dopo. “Ninna nanna, ninna nanna, nessuno ti vuole bene come la mamma”.

Cambia l’atmosfera, le donne sciolgono i capelli mentre Arturo balla e ancora continuano a spogliarsi, tutto acquista un ritmo più veloce, movimenti ammiccanti, sguardi seducenti, simulazioni di amplessi, e Arturo le imita, indossa i tacchi e passeggia avanti e indietro finché non prende un sacco nero e lo svuota sul pavimento, facendo rotolare qua e là un’infinità di giocattoli che prontamente Anna, Nuzza e Bettina
cercano di raccogliere, veloci nel gesto, quanto nel modo di parlare. Ma è tempo di riposare, perché presto passerà il pulmino che lo porterà in una nuova casa, con una stanza tutta sua, con la finestra dalla quale potrà vedere il sole.

Ora anche Arturo aiuta a raccogliere i suoi giocattoli consentendo alle donne di sedersi e a guardarlo mentre balla, sempre meno goffo, come un uccellino che sta per spiccare il volo, non è più un ragazzo fragile ma una libellula, un danzatore Sufi senza gonna, che ruota, ipnotizza, incanta. Nulla sembra avere più importanza e nulla pare poterlo fermare…tranne il suono di un carillon che lo stordisce tanto da farlo addormentare su di una piccola copertina celeste, adagiata a terra, sulla
quale si rannicchia e dalla quale si rialza pur continuando a dormire, ormai sonnambulo, pare quasi cadere mentre le donne, sempre lì, sono pronte a prenderlo.

La canzone de “Le avventure di Pinocchio” (memorabile leitmotiv di Fiorenzo Carpi), dà il via alla sua vestizione, che esegue in maniera autonoma, ad uno ad uno prende i suoi vestiti che sono adagiati sulla sedia, la camicia, i pantaloncini, le scarpe i cui lacci non annoda e pur ricominciando a ballare, inseguito dalle tre donne, non cade. Ma ecco da lontano si ode il suono della banda che lo porterà alla sua nuova vita e alla sua splendida stanza dalla quale ogni mattina “Trase u suli”.

La valigia è pronta, lo scrigno con la collanina appartenente alla defunta madre Lucia pure, poi, la colletta, soldi presi dal petto, dalla scarpa o semplicemente dal borsellino, quest’ultimi sono quelli di Bettina, che gli regala ben 300 euro, il carillon, il cuscino della culla, il primo maglioncino ed il bambolotto di Charlie Brown, ed ancora i dentini di latte e le favole della buonanotte. Ecco, Arturo è pronto per andare…un ultimo sguardo, un ultimo saluto… e poi la parola “Mamma”
che fa girare tutte e tre di scatto, ancora un ultimo saluto prima che il suono della banda lo catturi e lo accompagni verso il suo nuovo destino.

Madri, amiche, nemiche, compagne, colleghe…semplicemente donne. Donne che si alleano, vivono insieme e decidono ciò che è meglio per Arturo, quel figlio adottato da tutte e tre, senza pensarci un attimo, come dono d’amore nei confronti della loro amica Lucia. Madri sin dal nome “nomen atque omen” diceva Plauto. Anna, Nuzza e Bettina, ossia Anna la madre di Maria, Nuzza o Annunziata cioè Maria e Bettina o Elisabetta la cugina di Maria, insomma le donne dell’infanzia di Gesù/Arturo “la stella più luminosa” (così come è definita la stella della costellazione del Boote).

Suggestivo il fermo immagine di una maternità trina, che abbraccia la purezza e l’ingenuità di un ragazzo che pare anche comprendere la necessità di andare via da quella casa, ed in qualche modo di crescere, raccogliendo i suoi giocattoli e vestendosi per la prima volta, in
maniera autonoma. Un distacco sofferto ma inderogabile. Donne unite anche dalla necessità economica e da quella scelta lavorativa che fa dei loro corpi oggetti, che si mostrano, che ostentano una sessualità non necessariamente sensuale ma semplicemente primitiva, che si offrono allo sguardo di un pubblico chiamato suo malgrado ad osservarli.

L’accenno alla violenza perpetrata nei confronti di Lucia da parte del corteggiatore/cliente e la sottolineatura del senso di colpa delle altre per non aver denunciato il fatto, è un valido esempio di ciò che ancora spesso accade in ambienti degradati, dove la violenza domestica pare sia la norma e tutto venga minimizzato per evitare ritorsioni o azioni violente ben più gravi; dove si tace per paura e non si denuncia per
sfiducia nelle istituzioni.

Il tema della disabilità è affrontato senza enfasi, non c’è retorica né pietismo, c’è solo l’urgenza di prendersi cura di una creatura che necessita di affetto e di assistenza, quel “fare” spontaneo e naturale non necessariamente delegato ad una madre biologica ma ad una, ed in questo anomalo caso a tre “donne”, che si donano, si offrono con generosità e si privano anche della propria dignità pur di affrontare il domani, esistere e resistere.

Emma Dante, a suo modo, restituisce potere ai sentimenti, all’essere umano e ci consente di andare oltre la forma, la grezza superficie, a scavare in terreni aridi nei quali trova pur sempre rivoli di cruda poesia. La scelta di recitare parti del testo in dialetto siciliano, per l’esattezza quello palermitano (n.d.r. Emma Dante è nata a Palermo), è quasi come un marchio di fabbrica che le consente di contestualizzare e rendere prezioso quel linguaggio ricco di contaminazioni, che diventa suono, melodia, che solca il terreno e dissotterra scheletri, violenze
familiari, frutto di arretratezza culturale e morale.

Il dialetto che da suono si fa racconto e da melodia narrazione, costruisce una vera e propria partitura, che insieme al ritmo sottolinea emozioni e trova un suo fondamento interpretativo ed un suo peculiare significato. Evidente il riferimento a quel teatro nel teatro, che nasce con Aristofane e Plauto, che racconta, intreccia, rimanda a luoghi e a tempi lontani, ma che a differenza di Pirandello non sfugge dalla realtà oggettiva e non si nasconde dietro un mondo irreale, ma l’affronta e
l’analizza, con la dichiarata volontà di manifestare  l’importanza di prendersi cura di qualcuno, anche se quel qualcuno non ci appartiene, e di fornirgli gli strumenti giusti per poter divenire autonomo ed infine, restituirlo al mondo non appena ci si è resi conto che è pronto a volare. Dunque, è forse questa la vera “Misericordia”?

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La memoria aiuta il respiro delle parole

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Il 27 gennaio, ricorre la Giornata della Memoria, voluta da un padre dell’Europa, quale fu Carlo Azelio Ciampi. È una giornata rivolta ai giovani per non dimenticare, ma anche per crescere nello studio e avere la conoscenza della Storia. La memoria vive e conserva la storia. Il respiro delle parole apre la mente alla visione dei luoghi e dei volti.

Le parole hanno la forza di far vedere i segni distruttivi della guerra sulle città. Sono la voce della violenza degli esclusi e dei mutilati. Le parole raccontano i segni delle torture dei corpi disperati nei lager.

Le parole sono il dolore muto dei bambini in cammino a piedi nudi nel ghiaccio del freddo inverno.

Le parole sono anche la storia di chi muore in mare senza lasciare un segno.

Ancora le parole raccontano i corpi dei prigionieri ebrei finiti in cenere nelle camere a gas naziste.

Il respiro delle parole serve per conoscere e sentire la storia e quindi per avere la capacità di partecipare e non voltare le spalle all’evidenza del dolore e della perdita dei valori civili.

Senza memoria la mente finisce nel buio e l’uomo perde la capacità di ascoltare. Ascoltare le parole aiuta a fare il cammino con gli altri verso un futuro senza la paura del diverso e il pregiudizio della pelle.

Carlo Azelio Ciampi credeva ad un’Europa unita. Per rendere possibile il suo sogno, spese tutte le sue forze.

Il presidente Ciampi capì che, per raggiungere l’unità politica, l’Europa dei popoli doveva fare i conti con la storia del secolo “breve” e con le ferite dei morti delle due Guerre Mondiali.

Per fare la nuova Europa per Carlo Azelio Ciampi bisognava avere la memoria del passato e soprattutto saper respirare le parole della storia.

La storia non si cancella.

Così nei versi giovanili il poeta Carmelo Bene:

“no, non stupirti

delle pagine audaci

che mente umana ha scritto.

Sono ruderi. Al loro posto

un tempio sorgerà.”

Carmelo Bene, Poesie Giovanili, Adriatica Editrice Salentina, Lecce 2009.

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