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Gennaio 2020


21 dic

Ennio Marchetto

The Living Paper Cartoon

immagine di copertina Mbira, un fiume in piena che rompe gli argini

Mbira, un fiume in piena che rompe gli argini

Critica
di Annarita Risola*

In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri.
( Nelson Mandela, Novembre 2008)

È il 21 Dicembre 2019 e i Cantieri Teatrali koreja, in pieno clima natalizio ci offrono- Mbira- concerto di musica, danza e parola.

Buio in sala…il silenzio è rotto dal rumore di passi. In fondo al palcoscenico la luce rivela un volto, uno strano strumento e infine illumina il soffitto, che si trasforma in cielo.
Incomincia così un racconto, fatto di suoni strani e magici, accattivanti e di non facile comprensione.
Sulla scena appare una donna, è vestita di rosso, il suo dorso è flesso in avanti e i capelli neri sfiorano il pavimento. Le snelle braccia sono aperte come le ali del marabù e, grazie ad un gioco di luci, la sua ombra plana elegante e leggera sulle pareti. Le mani seguono la musica, sono movimenti ripetitivi e ritmati.
Lentamente la danzatrice – Giselda Ranieri danzatrice di formazione classica, specializzata in Danza al Dams di Bologna – sposta il corpo di lato e porta le braccia in alto mentre le sue mani vibrano. La donna è a piedi nudi. Ora muove solo le braccia, avanti e indietro, ruota su se stessa, sulle punte, con il palmo delle mani sempre ben visibile e a braccia aperte inizia a ruotare per poi, alternando i piedi e le braccia, piegare gli avambracci su di sé. Il ritmo inizia a spezzarsi sovrapponendosi per breve tempo ad un altro.
Destra, sinistra, si alternano le braccia e ondeggia il corpo per poi fermarsi.
Buio…
Si sente il suono di un tamburo che scopriremo poi essere un tamanì, il cosiddetto tamburo parlante. Lentamente si illumina il volto del musicista – Zam Moustapha Dembélé il Griot del Mali, il cui significato in Africa è “artigiano della parola” e “portatore di pace” – è in alto, al centro del palco.
Presente in scena Roberto Castello, coreografo, regista dello spettacolo e voce narrante. Da gentile padrone di casa saluta e poi ci parla del Biafra in Nigeria e nella storia di Mbira, che è anche una composizione musicale del 1981 al centro di una diatriba tra Africa ed Europa.
Poco più a destra due donne iniziano a ballare un movimento ritmico con la testa. Alla danzatrice Giselda si è aggiunta Susannah Iheme, danzatrice e performer. Indossa una maglietta nera corta e una gonna bianca.
Iniziano a fare delle variazioni al movimento della testa, alternate a salti e spingendo le mani dietro si elevano. Elementi ritmici caratterizzano i movimenti dei piedi e delle braccia, marciano, saltano e guardano il cielo.
“ La diaspora africana ha modificato il gusto del pianeta” – dice la voce narrante.
Ora il protagonista è il balafon, il suo suggestivo suono suggerisce alla donna con l’abito rosso una danza basata sulla sinuosa mobilizzazione dell’area lombare.

Ma cosa rappresentano questi micro-gesti ritmati, un linguaggio? e le ombre proiettate sulle pareti cosa vogliono comunicare?

Il musicista spiega gli strumenti e la loro epoca, Kora, Balafon…
Nelson Mandela diceva:” Noi siamo ciò che siamo per quello che tutti siamo”
E così la voce diventa coro e si sprigiona nell’aria come un profumo che genera allegria.
Il pubblico viene invitato ad alzarsi e a seguire il ritmo da loro proposto. È coinvolgente, viene voglia non solo di ballare, ma anche di cantare. Sul balafon il musicista esegue dei virtuosismi e con i martelletti batte veloce sulla tastiera.
Seguono le percussioni di Marco Zanotti – insegnante percussionista e fine ricercatore del suono.
E poi…” A djara…djara djara”( che significa “ è buono”), tutti cantano felicemente.

MBIRA è un viaggio alla scoperta dell’origine della musica e del ritmo africano. Uno spettacolo nello spettacolo, partecipato, dove lo spettatore come in un inatteso ma gratificante atto liberatorio è coinvolto in quello che può essere definito un lavoro sulle emozioni.
Abbiamo dunque assistito ad un rito collettivo, difficile parlare del suo significato più profondo ma quello più immediato è: la gioia di un incontro. I protagonisti infatti si mischiano al pubblico che diviene protagonista.
“Nessun intento mimetico, tutto è creato ex novo, passo passo. Molto poco è lasciato all’interpretazione” così dice Castello. “Le cornici rimangono rigide, sono passi di danza contemporanea e d’avanguardia”.
MBIRA è un momento di condivisione e di politica, perché quest’ultima la di può fare anche divertendosi e comunicando temi importanti con leggerezza. Mbira lascia la traccia della storia e la voglia di conoscere e di approfondire. Lo fa con entusiasmo e accattivante allegria, senza la pretesa di trovare soluzione. E va oltre lo spettacolo, perché è un progetto che si collega ad altri, comunicando valori di condivisione, fratellanza e di pace.
Non è forse questo lo scopo del teatro e dell’antropologia teatrale?
Duvignaud afferma che la società ricorre al teatro ogni volta che vuole affermare la sua esistenza o compiere un atto decisivo che la mette in causa, per Turner invece il “ dramma sociale” serve a far emergere, a elaborare ritualmente ed eventualmente risolvere i conflitti latenti nella struttura sociale.
Dialogare per ricostruire la micro società e il legame dell’individuo con il gruppo. Ecco, forse, cosa si è tentato di fare e lo si è fatto senza troppi orpelli, perché è l’uomo stesso a riempire la scena con la sua forma e contenuto.
Per la prima volta non ci si pone la domanda di come questo spettacolo possa risultare e di quanto consenso riscuoterà da pubblico e critica, ma lo si “vive” nel piacere della condivisione, sostenuta e allietata da un sapere storico, antropologico, sociologico e musicale. La danza, apparentemente subordinata alla musica, è in realtà protagonista già sul piano visivo. Le danzatrici sono un fiume in piena che rompe gli argini, sono lava bollente che lambisce il pubblico e sono parole non dette che piano piano acquistano un senso: quello della condivisione, dell’allegria, dell’unione tra popoli, della matassa raccolta che alla fine si srotola, intrappolando e trascinando con sé, nel suo lungo filo di vitalità, tutti gli spettatori diventati, involontariamente, piccoli tasselli di un unico progetto, primordiale e condiviso.

*Progetto GIOVANI SGUARDI
Anna Risola è studentessa Corso di Laurea DAMS e Socia fondatrice Palchetti Laterali Università del Salento

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