Calendario

April 2020

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Pratica in cerca di pratica

Pratica in cerca di pratica

Visioni
di Emanuela Pisicchio*

Cosa resta di una Pratica che deve fare a meno della sua pratica?

Il nostro lavoro si è fermato all’improvviso, abbiamo dovuto abbandonare una sala prove che traboccava di immagini, oggetti, costumi e parole. Se si potesse spiare al suo interno, forse ci potremmo scorgere ancora il tavolo ricoperto da una tovaglia rossa, una camicia verde acqua, una lanterna ancora accesa, un cappello verde, una sedia, un abito bianco e un fioco controluce.

Abbiamo incontrato alcuni personaggi, li abbiamo vestiti, abitati, ne abbiamo ricercato la camminata, la postura, la voce, le parole. Abbiamo piegato, tirato, strappato, sbattuto e accarezzato la tovaglia rossa. Silenziosa testimone di un mondo in divenire. Quinta, sipario, riparo. Dopo giorni di silenzio, qualcuno si è riavvicinato al proprio personaggio. Lo ha chiamato per nome, pizzicandogli la guancia, invitandolo a camminare un po’ e a raccontarsi. Per quello che è adesso. Queste sono le parole di Caterina della “Bisbetica Domata”, attraverso gli occhi di Sabrina.

La scena è un ambiente scuro, cupo.

Al centro solo il letto e un lenzuolo quasi invisibile che lascia trasparire le linee di un corpo femminile in vesti succinte: calze a rete, una minigonna attillata e un top nero.

Nella penombra Caterina aspetta che passi la notte, sola e infreddolita, rannicchiata a sinistra, in posizione fetale.

Sulle labbra ha ancora un alone del suo rossetto rosso e qualche traccia di trucco. Ha pianto e ha uno sguardo fisso.

CATERINA

Questo tempo è grigio. Non se guardo fuori dalla finestra. Neanche dentro di me, dove regna una serenità quasi surreale, improbabile… sono io davvero?

Sì.

E dove sono? Dove non dovrei essere.

Una pausa nel sogno… Un fermo immagine in cui ho accolto tutto tranne il giudizio.

Non riesco a formularne uno accettabile, comprensibile, e d’altra parte mi ha sempre fatto male, non può essere tra le mie ancore di salvezza.

Non so cosa stia accadendo ma è certo che io continuo ad essere, inesorabilmente, quella del passato che si confonde col presente.

Una volta sono stata sicura, fiera nell’aspetto e nella mia corteccia interna. Poi ho attraversato il tempo immobile, nel bene e nel male. Ho visto solite storie, finzioni standard, perbenismo ghiacciato, banali matrimoni, cinismo inaspettato, morti insondabili ed egoiste.

E io sempre uguale, fedele alle mie lacrime. Una me oscillante tra allora e oggi.

Ora i miei occhi si sono ritratti, come tante volte in cui non vedere mi ha protetto.

Vivo nascosta dentro al mio corpo, che mi ha sempre fatto da scudo. Sotto molti strati, indietro. Non sento, ho fame e ho sete perché devo averle.

Ma, finalmente, attorno a me la calma piatta, e una serenità che ho desiderato tanto regna dentro di me, legittimata da un destino comune agli altri.

Finalmente a casa. Quale casa?

Ancora niente, non la tua, che forse non esiste.

Ora nessuno di noi ha quello che aveva prima o può avere quello che sperava: un mondo effimero e indefinibile. Nessuno può ambire più a relazioni sociali, niente invidia, gelosia, rivalità, conflitti, lotte, affanni, affermazione sociale, successo.

E io?

Niente sensi di colpa.

Finalmente siamo tutti uguali. Io non sono meno donna di altre, neanche il tempo può togliermi niente di più di quello che sta togliendo a loro.

Mi toglie solo quello che faticosamente stavo lottando per avere.

Hai detto niente.

In più nel frattempo sto crescendo.

Questo calore che assale le mie 48 primavere, sole, mare, lacrime, vento, ricerca, cuore, fretta, non amore, Torino, Roma, ritorno, delusione, il tutto passato e il tutto fermo… è quello di una donna-mondo che avverte un dolore che non ha mai conosciuto, che può solo ‘subire’.

Ogni tanto è una tenerissima stella che splende dentro e ogni tanto si spegne da sola per non abbagliare all’esterno.

Ora sono la persona di un presente forzato, in cui tutto è quello che deve essere, quello che bisogna fare, sfrondato da tutte le paure, i capricci di un tempo di cose futili, ripetitive e sovrabbondanti, niente trucco, niente compromessi socializzanti voluti per farmi crescere e impedire alla solitudine di essere mia madre.

Parole, rifiuti, corse, nonamore, nonamicizia, paura. Tutto finito.

Ora regna l’immobilita’ fisica, è così, deve essere. Non c’è più nessuno attorno che mi sta aspettando, tutto finito, niente orari, niente vestiti, lavaggi, corse, dovere, obbligo, obbligo, poco piacere, fatica, ambizione, macchina, sogni che si realizzano, forse. Niente.

Soprattutto non ci sono più uomini…

No aspetta. Non ci sono mai stati.

Nessun marito. Nessun essere penoso, esemplare ‘dotato’, di quella specie di personaggi che ti invitano fuori fingendo interesse per il tuo ‘patrimonio intellettivo’, o di quelli che non ti invitano, come se tu fossi un drago, perché neanche loro vedono le tue ali, lì dietro…

No non lo voglio un uomo, sarebbe tutto inutile. E poi è proibito anche quello.

Questo penso, immobilizzata dagli eventi.

Eppure la mia mente corre, si affanna, fa, dice, pensa, progetta, esplora, e corre, formula, concilia, previene, pensa, cura, accoglie. Questa folle corsa virtuale che sta impegnando tutto dentro di me per non farmi realizzare cosa c’è fuori… o forse, più evidente-mente, mi evita di pensare di essere tornata nel mio antico ‘nido’ scomposto…

In tutti i modi ci risiamo ancora.

Sto nuovamente trascurando la mia piccola, questa volta per piccoli altri. Continuo a non voler ascoltare i suoi richiami, le tolgo voce, ora del tutto, sperando come sempre che possa capirmi… Proprio ora che stavo iniziando a vedere la mia luce, la voglia di una vita diversa… Proprio ora che stavo riuscendo ad essere io genitore di me stessa, donna senza essere figlia… Niente.

Mi sento risucchiata in una prigione.

E ancora una volta ho dovuto rinunciare anche alla mia Libertà. Io non ho bisogno di riflettere senza di Lei. Non siamo una coppia affiatata, è evidente, e sembra infinita questa ricerca di un’intesa possibile… Ma è lei che ogni tanto deve mettermi sul comodino e guardarmi da lontano perché non ha tempo. È di quelle stronze che maltrattato proprio le persone care. Comunque io aspetto, lo sto facendo da una vita ormai, e d’altronde non posso fare altro. 

da “Pratica in cerca di teoria #2”, laboratorio di Koreja diretto da Emanuela Pisicchio.

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

OPEN PRACTICE OPEN MIND IN LIVING BODY

2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Le parole ci cambiano

Le parole ci cambiano

Processi, racconti e punti di vista_Settimana sei

Visioni
di Giorgia Cocozza e Anđelka Vulić

Il nostro teatro ha sospeso le attività sette settimane fa. Era il 12 marzo 2020. Quel pomeriggio l’aria era calda e Lecce silenziosa. Il sole del pomeriggio profumava già di primavera. Quel giorno la percezione delle ore che scorrevano era diversa. Dopo aver messo in ordine il teatro, Andjelka ed io abbiamo salutato i nostri colleghi. Ci siamo “abbracciati” con sorrisi e lacrime (rigorosamente) a distanza. Ho preso la macchina e siamo andate al supermercato. Una volta arrivate a casa, abbiamo messo in ordine la spesa e ci siamo sedute in cucina. Abbiamo messo sul fuoco il caffè: era arrivato il momento di provare a mettere in ordine i pensieri. Andjelka ed io lavoriamo e viviamo insieme da quasi due anni. Passiamo molto tempo insieme. Quindi, ci capita spesso di provare ad ordinare i pensieri insieme. Abbiamo entrambe i capelli biondi e gli occhi azzurri, ma, io e Andelka, parliamo due lingue diverse. Siamo nate e cresciute in due Paesi diversi. In verità, col tempo, abbiamo scoperto di parlare la stessa lingua. Quella dei sentimenti, del rispetto, dell’ascolto e della fiducia. Le nostre culture si intrecciano nel dialogo e nel confronto cresciamo insieme anche noi. Il vocabolario degli esseri umani può incredibilmente assomigliarsi, a prescindere dal luogo in cui si è nati, dal colore della propria pelle o dalla propria fede religiosa. Quel giorno, il 12 marzo, ci sentivamo dentro una bolla e, mentre bevevamo il caffè, ci siamo dette che ci risuonavano in testa le stesse parole. Così abbiamo ideato questo gioco a distanza con i ragazzi di un laboratorio che curavamo insieme il venerdì pomeriggio: “Le parole ci cambiano”. Questa settimana abbiamo deciso di fare una pausa. Riprenderemo il lavoro con i ragazzi tra sette giorni. Nel frattempo, ci siamo messe a ragionare su quello che per noi significano le parole.

Le parole, oggi e domani

Qualche volta, le parole si aggrovigliano nella mente e sulla lingua. Qualche volta, le parole sono così tante da sovrapporsi mentre le pronunciamo, fino a farci balbettare. Qualche volta, in verità, si ha troppa fretta di parlare…

Qualche
volta, purtroppo, si parla anche prima di pensare.

Qualche
volta, le parole sono troppe.

Qualche
volta, tuttavia (per fortuna), le parole mancano.

Non
bastano.

Sono
insufficienti a saziare, a vincere, a raccontare.

Sono
inadeguate ad esprimere una sensazione che c’è e basta.

Qualcosa
esiste e non la si riesce a decodificare con le parole.

C’è gente che ha una teoria su qualsiasi cosa. Anche su quello che non conosce. Le parole che scegliamo, che pensiamo, che diciamo, che agiamo, cambiano il nostro “modo” di percepire quello che accade attorno e dentro di noi. Il nostro “modo” è nostro e, quindi, dipende da noi. Il “modo”, il “come”, fa sempre la differenza. Nella vita e a teatro. Se il nostro “modo” dipende molto dalle parole che usiamo nella nostra quotidianità, cerchiamo di scegliere quelle giuste. Le parole giuste possono salvarci. Le parole ci cambiano. Apriamo l’armadio delle parole, ogni giorno, scegliamo un capo-parola che ci avvicini a quello che può essere il nostro “modo” di stare bene, di essere felici.

Giorgia Cocozza

La
parola

La parola è libera. Sa come cambiare forma. Sa evolversi. Sa accarezzare o colpire, a volte allo stesso tempo. La sua durata può corrispondere solo al tempo di un respiro o può rimanere per sempre scritta. Un mucchio di parole può essere sostituito da una sola parola apparentemente debole. A volte è sufficiente una sola parola per sbrogliare il mucchio di parole fragorose. E alcune parole non dette possono risuonare per secoli. Possono essere forti come la prima parola di un bambino e sottostimate come una semplice frase: come stai? Le parole traducono i nostri segreti più profondi e le parole possono viaggiare in 7.117 lingue diverse. A volte si perdono in quelle traduzioni. Si confondono anche a distanze minori. Quindi, dobbiamo usarle con molta attenzione. Soprattutto in questi giorni. Perché ora le parole devono completare i baci iniziati, gli abbracci insufficientemente scambiati e sussurrare i tocchi.

Andjelka Vulic

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LE PECORE DELLA LUNA

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2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Racconti a catena

Racconti a catena

storie di stanze in stanze

Visioni
di Emanuela Pisicchio

Il Cantiere dei Piccoli, il laboratorio di Koreja diretto da Emanuela Pisicchio e Giorgia Cocozza, si è ammutinato. A teatro non ci possiamo andare, a casa da soli non è lo stesso. Ma un bambino fermo non ci sa stare. Così sono nati i racconti a catena, piccole storie che viaggiano di stanza in stanza, da una voce all’altra, da un giocattolo all’altro.

Sono racconti condivisi, in cui i giocattoli sono narratori e protagonisti. Tutto nasce all’improvviso e non si sa mai dove si andrà a finire. L’importante è raccontare, l’importante è fermarsi ad ascoltare.

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LE PECORE DELLA LUNA

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

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immagine di copertina Lunatica

Lunatica

Parole scelte del Liceo "Virgilio-Redi" di Lecce

Visioni
di Giulia Falzea

Lunatica è una nuova città. La città del possibile, fondata da donne, sedicenni. È l’approdo in un’isola immaginata, voluta e sperata. È una nuova tappa del viaggio di Ulisse, un capitolo dell’Odissea che non è mai stato scritto, è il desiderio di creare un mondo fantastico nel chiuso della propria stanza. In Lunatica, scrivono Benedetta, Aurora, Martina, Giada, Piera, Irene e Marina la Luna è sulla terra. Si producono in grande quantità sacchetti per cancellare per sempre della terra l’omofobia, il razzismo e quella dannata violenza. I sacchetti danno voce a chi non ce l’ha. In Lunatica tutto il mondo si conoscerà. Finalmente, esplorando ben oltre 5% del mare conosciuto, si troveranno le sirene. In caso di noia, si potrà entrare entrare nei libri per vivere diverse storie d’amore. A scelta si potrà sposare un principe e diventare la lady D del 21°secolo. Alcuni giorni, magari, si può aprire un’erboristeria in cui tutti i prodotti derivano da fiori dei giardini di Lunatica. Questa è una città con due dimensioni, una nel passato e una nel futuro. È una città da cui partire, almeno una volta nella vita e girare il mondo in bicicletta, ma con Jovanotti. Lunatica ha scritto un manuale che ha le risposta a tutte le domande. In Lunatica si producono i musical di Broadway. È stata realizzata una macchina del tempo e dello spazio in modo da poter fotografare ogni paesaggio sulla terra. Quando piove, piove zucchero filato, e le case sono fatte di cioccolata. È stato realizzato  un film che mette insieme tutte le migliori le serie. In Lunatica si può parlare con gli animali e ci sono i migliori detective, scoprono i crimini in dieci minuto. In Lunatica girano indisturbati pronti a fare un balletto Uma Thurman , John Travolta, Audrey Hepburn, Michael Jackson In Lunatica è assolutamente vietato:

               * Aspettare troppo tempo per fare le cose

               * Negatività

               * Avererimpianti

               * Avere pregiudizi

               * Perpetrare le ingiustizie

               * Avere bassa autostima

               * Rimandare

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TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Le parole ci cambiano

Le parole ci cambiano

Diario di un laboratorio - settimana cinque

Visioni
di Giorgia Cocozza e Anđelka Vulić

Cari ragazzi,

per alcune settimane ci hanno accompagnato le parole che vi elenco di seguito: lontananza, sguardo, rito, quando, privilegio, famiglia, televisione, finestra, pazienza, futuro, attesa, muri, libertà, domenica, resilienza, ordine, domanda, tavola, equilibrio e prima. Adesso cambiamo un po’ il gioco. Vi concediamo una settimana di tempo per riflettere attorno alla parola bianco. Ma, questa volta, vorremmo che la riflessione vi conducesse alla scelta di un’opera d’arte in cui, a parer vostro, la parola bianco è presente. Bianca come il latte può essere la pelle di una donna o di un bambino; uno sguardo è bianco, forse, quando è limpido, pulito, giovane; il cielo e le nuvole possono essere bianche, cariche di pioggia; bianco, accecante, travolgente può essere il desiderio; bianco è ciò che non si conosce, il futuro o il Paradiso; forse bianca può essere anche la morte… e via dicendo. Trovate quello che per ognuno di voi significa bianco e proponeteci il nome di un’opera d’arte. Anche qui, per opera d’arte si intende ciò che per voi è un’opera d’arte: una scultura, un dipinto, una chiesa, una fotografia… qualsiasi cosa tranne film e musica. Vorremmo che sceglieste opere d’arte che siano “ferme”. Così come, apparentemente, lo siamo noi adesso. Dopo aver scelto, commentate brevemente la vostra decisione; raccontateci perché avete fatto quella scelta. Nello studio del personaggio, per raggiungere la propria personale ed unica interpretazione, un attore può scegliere di lasciarsi ispirare da alcune immagini. Può studiare, ad esempio, la postura del soggetto scelto, o forse il suo sguardo; magari può circondarsi e maneggiare, durante la fase di studio e d’improvvisazione, un oggetto che la figura dipinta possiede; o può prendere in considerazione un’immagine in cui non è l’uomo ad essere rappresentato, bensì un animale, un colore, un luogo reale oppure immaginario. Ad esempio, pensate in quanti modi può essere rappresentato un sentimento!

Buon lavoro! Vi abbracciamo sempre.

Un colore che esprime emozioni.  È simbolo di purezza, castità, ma anche bellezza. Un’opera d’arte che ho scelto e che esprime una bellezza profonda è: “La Pietà” di Michelangelo Buonarroti. In quest’opera troviamo Maria che, con il viso rigato di lacrime, abbraccia il figlio morto. Studio questa statua in religioso silenzio e contemporaneamente la contemplo in tutto il suo splendore.  È statica. Ferma, come lo siamo noi in questo periodo di forte tensione e nel quale la morte aleggia mietendo tante vittime innocenti. Ludovica

Ho scelto quest’opera, “Il falso specchio”, perché riflette un po’ il mio stato d’animo in questo periodo. Infatti mi fa pensare al mio sguardo attraverso la finestra verso un cielo azzurro e pieno di nuvole bianche, che rappresentano la voglia di movimento e di libertà. Il bianco per me è la speranza di ritornare a muoversi liberi in una realtà che ci è stata negata e che quindi è tanto desiderata. Chiara

Il bianco è purezza,
è verità, è rarità. L’opera d’arte che ho scelto è “La ragazza con
l’orecchino di perla”. Il volto di lei è intriso di luce bianca e mostra
una rara bellezza, mostra la purezza e l’innocente languidezza (sguardo
assorto). Lo sfondo scuro mette ancora più in risalto il volto chiaro della
ragazza che è ferma, come noi d’altro canto, che aspettiamo speranzosi, un po’
nostalgici, po’ in bilico. Emma

Questa immagine
infonde in me una sensazione come di tranquillità, di sazietà d’animo. Nessun
rumore solo l’acqua scorrere e gli uccelli cantare. Le nuvole che viaggiano
leggere nel cielo e i raggi del sole che illuminano dolcemente tutto quanto.
Tutto questo per me è ciò che rappresenta meglio il colore “Bianco”.
Antonio

L’uomo non si volta neppure.
Continua a fissare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il
pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri.
Le setole del pennello lasciano dietro di sé l’ombra di una pallidissima
oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco
di prima. Giovanna

Il bianco è la base di tutto, è un legame. In questo dipinto due persone vengono avvolte da questo legame, invisibile agli occhi ma che in realtà è presente. Esso ci accompagna costantemente e, nel momento giusto, ci lega a qualcosa o qualcuno, sempre. Ha una storia piena di segreti. A volte nemmeno ci accorgiamo di questo legame; spesso lo ignoriamo, ma esso non ignorerà mai noi. Noi, consapevoli del legame, ma non della sua presenza. Giulia M.

Cos’è il bianco? È
la domanda più frequente che mi sono fatto in questi giorni, può essere tutto o
niente credo che dipenda da chi lo vede. L’opera che ho scelto per
rappresentare questo concetto è “Paesaggio” di Joan Mirò che
rappresenta l’importanza del bianco in questo mondo pieno di colori. Infatti, se
nessuno avesse dipinto la tela di bianco, nessuno si sarebbe accorto di quel
piccolo puntino blu che, proprio attraverso il bianco, diventa importantissimo
nel quadro, quasi come un punto di riferimento nella leggerezza del bianco che
in questo caso rende tutto più grande e importante. Valerio

Ho questa foto
salvata sulla galleria del mio cellulare da tantissimo tempo. Anche dopo aver
visto molte opere d’arte, non sono riuscita a staccare il mio pensiero da
questa foto. È un bianco diverso da quello che vedo nelle altre foto. Questo
bianco mi illumina gli occhi quando lo vedo. Questa immagine mi trasmette
quiete, serenità, mi sembra limpida, pura e trasparente. Quando la guardo mi
sento come se nell’immagine ci fossi anch’io, dimentico di essere davanti allo
schermo di un cellulare. Quando la guardo è come se fossi avvolta dalla luce.
Giulia C.

In questo dipinto, “Gli
amanti” di Magritte, si può percepire un senso di impossibilità. Un
raggiungimento che non accade, un’attesa continuamente delusa. Al centro del
quadro ci sono infatti due amanti intenti a baciarsi, ma questo bacio è
destinato a rimanere sospeso. Infatti, i due soggetti non sono riconoscibili e
un lenzuolo bianco avvolge le loro teste, impossibilitando il loro desiderio di
unirsi. È presente, inoltre, la contrapposizione tra il gesto dei due, ovvero
il baciarsi, e la loro non identificabile identità. Questo può rappresentare un
amore che in realtà non c’è, che non esiste. 
Il gesto concreto può stare a significare il sogno, la felicità dei due,
mentre i volti coperti possono rappresentare l’impossibilità del loro amore e
quindi la loro tristezza. Il bianco, in questo caso, mi rimanda ad un legame
che, purtroppo, non si riesce ad instaurare ed è rappresentato proprio dal
lenzuolo posto sul viso dei due amanti, l’arma che impedisce la loro unione. Lucrezia

*Pratica in Cerca di Teoria under 17 – esperimento di
laboratorio a distanza per la costruzione di pensiero.

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immagine di copertina Pratica in cerca di pratica

Pratica in cerca di pratica

Visioni
di Emanuela Pisicchio

Cosa resta di una Pratica che deve fare a meno della sua
pratica?

Il nostro lavoro si è fermato all’improvviso, abbiamo dovuto abbandonare una sala prove che traboccava di immagini, oggetti, costumi e parole. Se si potesse spiare al suo interno, forse ci potremmo scorgere ancora il tavolo ricoperto da una tovaglia rossa, una camicia verde acqua, una lanterna ancora accesa, un cappello verde, una sedia, un abito bianco e un fioco controluce.Abbiamo incontrato alcuni personaggi, li abbiamo vestiti, abitati, ne abbiamo ricercato la camminata, la postura, la voce, le parole. Abbiamo piegato, tirato, strappato, sbattuto e accarezzato la tovaglia rossa. Silenziosa testimone di un mondo in divenire. Quinta, sipario, riparo. Dopo giorni di silenzio, qualcuno si è riavvicinato al proprio personaggio. Lo ha chiamato per nome, pizzicandogli la guancia, invitandolo a camminare un po’ e a raccontarsi. Per quello che è adesso.

Questo è
il Caronte di Guido.

Attraverso la siepe rada che circonda il giardino si intravede un paesaggio urbano. Sulla strada transitano rade automobili e ancor più radi passanti. Caronte è steso su una sedia a sdraio, sotto un albero al centro del giardino. Infradito, pantaloncini da bagno evidenziano le vecchie gambe magre e muscolose, la t-shirt bianca si confonde con la lunga barba. I capelli sono raccolti in una specie di coda elaborata proprio alla sommità del capo.Grandi occhiali scuri, molto scuri, nascondono i proverbiali occhi di bragia rivolti verso la strada al di là della siepe rada che circonda il giardino.

Caronte         Li chiamano eroi! Medici e infermieri, i nuovi eroi del 2020!

Ma eroi di cosa? Eroi perché?

Per aver prolungato la di qualche mese, di qualche anno, se va bene, la vita di tanti inutili vecchi? O aver contribuito a rigettare in questa vita vuota pochi giovani sfortunati. Magari sono sfortunati solo per essere sopravvissuti.O per aver portato le loro stesse a incrementare il numero delle anime che si affollano sperdute sulle rive dell’Acheronte?E già, perché anche oggi non passa nessuno. Non solo perché nessuno pensa più a lasciar loro una moneta come obolo sotto la lingua o a tenere chiusi gli occhi spenti ma perché anche oggi nessuno li porterà dall’altra parte.

Eh sì, ho finito la quarantena ma sono ancora in convalescenza e me la godo. Certo, potrei farmi una autocertificazione per comprovate esigenze lavorative, ma perché dovrei affrettarmi a tornare al lavoro? Mi avete sempre ignorato o denigrato il mio impegno quotidiano, faticoso, sotterraneo (è proprio il caso di dirlo). Avete sempre finto di piangere i vostri morti, li avete accompagnati al cimitero con ipocrite encomiastiche narrazioni e bisbigliate divertite malignità, per poi abbandonarli indifferenti ad un destino a voi estraneo. Oggi neppure quello! Se vanno da soli e voi vi sentite alleggeriti, non è toccato a voi e con uno di meno ci sarà una parte in meno da fare quando ci si risiederà al tavolo del consumismo. Dite che non è vero? Mi dispiace che non potrò davvero vedervi in quel momento, sarò tornato giù a fare il mio dovere, io. Ma per adesso sono qui sopra a godermi questa inaspettata vacanza, non sono abituato a tutta questa luce, al colore dei fiori, al profumo della primavera. E voi che l’avete sempre data per scontata, vi rendete conto di quanti più luce, colori, profumi quest’anno intorno? A guardarvi aggirarvi rabbiosi nelle vostre case, a rincorrere la vostra incoscienza su strade troppo affollate, a sentirvi lamentare in continuazione, a leggere i vostri immondi commenti sui social network, proprio non si direbbe. E posso capire i vecchi, tanti sanno bene che non hanno più alcuna voce in capitolo, oggi più di prima inutile peso di questo mondo che vuole solo ricominciare a correre, a produrre, a consumare. Posso anche capire i giovani, bimbi e adolescenti davvero ignoranti, volutamente tenuti ignoranti, dei minimi rudimenti della solidarietà e della convivenza civile.

Ma gli adulti? Quelli che il prossimo progetto di mondo dovrebbero guidarlo? Potenziale classe dirigente di una ripartenza possibile? Che cosa fanno, che cosa pensano, che cosa sognano gli adulti del 2020? Mi direte che, troppo abituato al buio dell’Ade, alle fangose paludi degli inferi, alle acque limacciose dell’Acheronte, non posso che immaginare un futuro putrido e oscuro. Pensate quello che volete, io, tra un po’, me ne tornerò giù ad aspettarvi paziente, mi racconterete allora quello che avrete saputo fare ma non crediate che con la scusa della gravità della situazione rinuncerò ai miei due oboli. Portatemi qualcosa di buono, qualcosa di valore, o vi lascerò a vagare per cento anni nelle nebbie puzzolenti del mio regno.

Dal laboratorio “Pratica in cerca di teoria #2”, diretto da Emanuela Pisicchio.

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immagine di copertina Il mondo in quarantena

Il mondo in quarantena

Visioni
di Gigi Mangia

Il 22 Aprile è la giornata mondiale dedicata alla Terra. Per tutto il mondo sarà una giornata particolare da passare chiusi in casa, in quarantena. Guarderemo la terra dalla finestra, con gli occhi chiusi, senza parole. Il nostro pensiero si disorienta nel silenzio vuoto, nella solitudine inutile, nella mancanza di contatto con le meraviglie della Terra che entrano nel nostro corpo e animano i viaggi della nostra mente. Ci chiediamo come mai da un villaggio sperduto e lontano da noi, il Covid19 abbia potuto attraversare la Terra, la casa di tutti. Il Coronavirus ha superato gli oceani, ha raggiunto i continenti e ha colpito le popolazioni. L’abbiamo definita Guerra Mondiale. Sentiamo la Terra in pericolo viviamo la paura di non avere più una casa sicura. Per difenderci, agli inizi del ‘900, avevamo costruito i parchi nazionali, come rimedio della rottura tra città e campagna e forse, abbiamo esagerato, costruendo i boschi verticali sui palazzi delle grandi città, convinti di vincere, con la tecnica, il torto fatto alla Terra. Ci siamo dimenticati che il capo degli Dei, Giove, punì il ribelle Prometeo perché volle dare all’uomo la tecnica per esercitare il suo dominio sulla Terra. La poetessa, Mariangela Gualtieri in una sua poesia “9 Marzo 2020” ci ricorda la necessità di fermarci prima dell’esagerare contro la Terra.  Koreja è un teatro sensibile e aperto alla Terra, ai popoli, alle loro lingue, alle loro tradizioni. Il teatro è l’Agorà dei continenti, dove sentire e vedere. Parlare della Terra vuol dire vivere un modello sociale senza confini. Nel foyer di Koreja, appese alle pareti, ci sono le carte geografiche dei continenti proprio per dare forza al teatro come luogo di rappresentazione della geografia sociale e culturale di tutti noi che abitiamo la Terra e che oggi, dalla finestra, guardiamo con gli occhi senza parole.

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immagine di copertina Ricordo di Gianni Rodari

Ricordo di Gianni Rodari

Visioni
di Gigi Mangia

Il 14 Aprile di 40 anni fa moriva Gianni Rodari in ospedale, l’intellettuale che insegnò a vivere con le parole e a scoprire la vita con la fantasia. Oggi abbiamo un grande bisogno della filosofia di Gianni Rodari. Ci sentiamo chiusi in casa e viviamo male il nostro tempo. Subiamo la siepe ansiogena: “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. La fragilità del nostro Io non regge il pericolo invisibile e va in frantumi; come un cristallo finisce in pezzi la nostra identità. L’Io perde la sua centralità e non è più “la misura di tutte le cose”. È il tramonto dell’identità liberare teorizzata dal filosofo John Locke alla fine del 1600 nel saggio sull’ intelletto. Nel 1960, Gianni Rodari completava la sua teoria sulla grammatica dell’immaginazione e indicava un mondo costruito sul punto di vista dei bambini. La sua favola “Il palazzo di gelato” in piazza Maggiore, nella città di Bologna, è una festa di gioia sociale con il coinvolgimento di tutti i bambini per la realizzazione ed in particolare per la vecchia invalida, che nella sua sedia a rotelle di gelato lecca felice i braccioli, disinvolta e piena di vita. La favola di Rodari indica la fiducia nell’ Italia che trovava la forza della rinascita nella liberazione e nell’ architettura sociale che progettava la città per tutti. E fu ancora in Emilia, che Gianni Rodari, in compagnia del suo amico Loris Malaguzzi che volle progettare il modello di scuole di Reggio e Modena, per educare i bambini sin dall’ inizio al sapere e a usare la conoscenza. Gianni Rodari, ricco di valori sociali, sapeva bene che la cultura è il cibo della mente e che la scuola è il posto migliore dove imparare a mangiare e a crescere. Il punto di vista dei bambini ci salverà; le loro parole, semplici e sincere, ci porteranno al porto della serenità, lontani dalla paura. È proprio vero, oggi più che mai, che nelle Favole c’è il mondo migliore.

prossimi Appuntamenti

1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

OPEN PRACTICE OPEN MIND IN LIVING BODY

2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Una canzone per me

Una canzone per me

Parole scelte del Liceo "Virgilio -Redi" di Lecce

Visioni
di Giulia Falzea

La voce è corpo senza braccia e senza gambe. La sua pelle è fatta di sfumature personali, è un mondo di accenti e di espressioni familiari. A volte la voce tradisce il pensiero e restituisce parole che non si volevano dire. Irene, Marina, Alessia, Martina, Aurora, Irene e Gloria le ritrovo per la quarta volta su una piattaforma di comunicazione in cui la voce si spezza e diventa acidula, si elettrifica, va veloce o rallenta. Ma ritrovo le loro voci, quelle che ho lasciato in una palestra del Virgilio Redi di Lecce, e cerco di farmi regalare un po’ di meraviglia. Per prima cosa respirano forte, l’aria passa dal naso e va alla bocca, poi emettono un suono, tutte le vocali che storpiano benevolmente il volto in modo diverso: AEIOU, lo ripetono per farsi coraggio e poi interrogano le erre e lo sfregamento sordo delle corde vocali. Sono pronte. Le ragazze hanno scelto pezzi di canzoni che da una parte ricordano loro il senso del _nostos_, inteso come nostalgia e come il ritorno nel viaggio di Ulisse, dall’ altra sono canzoni che descrivono il loro “stare”, il loro vivere e lasciarsi vivere da un tempo fermo. Le ascoltiamo: c’è De Andrè, anche se hai sedici anni nel 2020, e ci sono canzoni turche e parole d’amore in spiaggia e aeroporti solo immaginati. Poi le cantano, come se fosse una canzone sola, e la voce prende il corpo dei loro volti bellissimi mentre si regalano una canzone per sé stesse, una canzone per me.

prossimi Appuntamenti

1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

OPEN PRACTICE OPEN MIND IN LIVING BODY

2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Il cuore di primavera

Il cuore di primavera

Visioni
di Gigi Mangia

Il cuore di primavera, il colore dei fiori e dei profumi
sono gli auguri di Koreja, per tutti, di una Pasqua felice.

Rinasce la fiducia e noi torneremo. Il teatro aprirà le
sue porte; strade maestre, poetiche e creative, riprenderanno il cammino dei
semi del pensiero, del lavoro, del nostro essere teatro.

Finirà il tempo sospeso: torneremo, come prima, più di
prima, preparati per il futuro.

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance