Calendario

March 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Le cose che vorrei rifare post Covid

Le cose che vorrei rifare post Covid

Visioni
di Guido de Liguoro*

Sprofondando nella giungla di Facebook a volte capito sopra una smagliante pepita di umorismo demenziale che qualche sconosciuto genio ha seminato come un moderno Pollicino a favore di noi stremati viandanti della quarantena.

Di solito me ne basta una a dare una boccata d’ossigeno alla mia giornata; oggi però sono inciampato su questo “Sta quarantena sta durando talmente tanto che il problema non sarà cosa faremo dopo, ma ricordarsi che ca@@o facevamo prima” non ho fatto in tempo a lasciar svanire il sorriso spontaneo che mi ha assalito il dubbio: non è che sarà davvero così?

Ho la sensazione di essere sulla strada della rassegnazione, della accettazione di questa realtà quotidiana come l’unica possibile, dell’abbandono della voglia di fare altro, di vivere altrimenti. Magari come vivevo prima.

Certo, penso rassicurato, mi ricordo bene che cosa facevo prima ma sarà possibile rifarlo uguale? E so che no, non sarà possibile! Come minimo perché io sarò cambiato, sono già cambiato e non so se vorrei davvero tornare come prima. Vorrebbe dire non aver tratto nessun insegnamento da questa condizione violentemente subita, vorrebbe dire aver cancellato un anno, rafforzato come la zona rossa, della mia vita.

Se penso a cose che facevo prima e che voglio ancora fare mi vengono in mente il turismo lento nella natura e in città, i concerti all’aperto, le gare di golf.

Poi ci sono cose che vorrei rifare in modalità evoluta, post Covid, 6.0: stare con gli amici e a teatro. O le due insieme.

Non so quale sarà la diversità che vorrò scoprire, so che dovrò esplorare più nel profondo quando ce ne saranno le condizioni. Sento che per me la base di partenza dovrà essere mettermi più a nudo, essere più sincero? Più spontaneo sicuramente. Spero di trovare qualche amico che vorrà fare con un me un pezzo di questa ricerca, magari tra le assi di un palcoscenico.

*Meridionale per nascita, lombardo per formazione, cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro, viaggi e divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto, appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo per fare solo cose appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve fare!” Quasi attore in formazione, spettatore appassionato, attualmente cura il blog parolemiti.net

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

OPEN PRACTICE OPEN MIND IN LIVING BODY

2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Io non ho paura

Io non ho paura

Visioni
di Gigi Mangia

Il teatro non muore, vive.

Il teatro non ha un Dio da seguire, né una fede da praticare. Il teatro è il tempio della cultura, la casa dove si impara a lottare, a conoscere e a rispettare le parole; a crescere e a saper essere creativi; a vivere l’Altro, a resistere e vincere la paura.

Il teatro non è morto, con la sua forza ha superato le quattro stagioni del virus che ha sospeso la vita sociale e
congelato i rapporti personali.

La scienza è alleata dell’uomo. Il vaccino ci difende, il teatro ci guarisce. Passerà, io ci credo. Il teatro continuerà ad essere il tempio vivo della creatività dell’arte: il cantiere dove costruire il futuro ed imparare a camminare con gli altri.

IO NON HO PAURA.

Il 27 Marzo, nella giornata internazionale del teatro riflettiamo, studiamo, facciamo sentire la nostra voce indispensabile per fare della crisi un’opportunità, di crescita nella e con la cultura. Abitando il teatro.

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Fratello mio

Fratello mio

Visioni
di Andrea Ortese*

Fratello mio,

sogno di quel posto ove l’anima mia, il cuore e la mente si ritemprano e vagano inconsapevoli vivendo colorate realtà; ove conigli, gatti, volpi e giovani draghi raccontano le loro storie e le loro gesta. Mi perderei nelle loro paure, decidendo di non sottrarmi dinanzi ad esse, poiché l’abbandono è un viaggio straordinario, necessario a ritrovarti, fratello mio, nei loro occhi ed in quelli sognatori e disubbidienti della mia
piccola Clara, seduta accanto a me, composta e timorosa, in una buia sala.

La tua assenza non segna l’oblio, ma ne perpetua la memoria e porta a comprendere la ragione del terrore. I confini tra sogno e realtà sono sfumati e la tua sigaretta restituisce immaginifiche figure che prendono vita, trafitte da luci psichedeliche nel silenzio fragoroso di una danza ancestrale.

“Zac, hai visto Sergio?” “Ma certo! È lì che insegue la sua amata in un candido abito da sposa, dirigendosi, curiosa, nella stanza proibita…”

“Ma non lo vedi? É là! Intento a cercare ristoro nel castello di Barbablù con i suoi due fratelli ed il loro biondo cane Dick”.

Ed io, ad un tratto, assaporo la bellezza di cui tanto parlavi e che la scena mi aiuta a rimembrare…un certo Tancredi, Conte di Lecce e re di Sicilia, le sue valorose imprese ed il suo regno breve come la tua esistenza, che segnò la fine del dominio normanno nel sud Italia.

Pensami Sergio, come io faccio sulla scena, tutto mi riporta a te e, desideroso, attendo riaprirsi il sipario.

“The greater is the struggle, and more glorious is the triumph“ (Nick Vujicic)

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Il National Dante Day, fra terzine e musica folk

Il National Dante Day, fra terzine e musica folk

Visioni
di Gigi Mangia

I poeti non fanno rumore nella storia, la scrivono. Non indossano gli abiti di moda, sono discreti nella solitudine riflessiva. Sono maestri del pensiero, insegnano a conoscere, ad usare le parole giuste piene di valore, ricche dei sapori della realtà per vivere il mondo dell’altro, per non avere paura delle differenze, per fare un viaggio costruito sulla forza creativa dell’immaginazione. Per vedere l’atlante delle debolezze dell’uomo. La Divina Commedia del sommo Poeta, è storia ad occhi aperti: a non avere paura del peccato e sentire il fascino magnetico del mistero. Il Poeta fiorentino ha dato all’Italia la lingua. Il suo grande merito è stato quello di stabilire un principio di relazione, il riconoscimento di identità, l’affermazione della resilienza fra lingua e popoli. Nella sua opera “Il Devulgari Eloquentia” il Poeta è stato filologo, politico e filosofo e ha fatto nascere il popolo italico nella sua lingua. In politica Dante Alighieri fu grande oppositore del papa Bonifacio VIII, capo dei guelfi neri a Firenze. Dante Alighieri seguì invece l’imperatore Arrigo VIII il quale morì nell’agosto del 1313 a Buonconvento (Siena) ponendo fine alle sue speranze di ritornare a Firenze e a quelle di coloro i quali desideravano il bene dell’Italia.

In mezzo al disordine, alle ingiustizie, alle ingerenze politiche del Papato, alle lotte civili, alle guerre continue tra città e città, l’dea del principe giusto e riordinatore era associata all’idea dell’Impero, per il quale l’Italia fosse, come Dante la proclamava, “il giardino dell’Impero”.

Era questo il grande disegno politico che il Poeta sviluppò nel “De Monarchia”.

L’evento però che cambiò profondamente la vita di Dante, fu la seconda sentenza del 10 marzo 1302 in cui veniva accusato “contro i quali fu proceduto con inquisizione fatta dal nostro ufficio e dalla nostra curia alle nostre orecchie per mezzo di una pubblica voce le parole che informavano della condanna per baratto, per inique estorsioni e illeciti lucri. Con ogni maniera e diritto sentenziamo, in questi scritti, che qualunque dei predetti in qualunque tempo venisse in potere del comune deva essere bruciato col fuoco sì che muoia”.

Questa sentenza, mai accettata dal Poeta, diede inizio al suo lungo esilio politico che troviamo nella sua grande opera: La Divina Commedia, l’opera più amata dagli italiani, la più vicina al sentimento delle
classi popolari.

Oltre alle traduzioni in lingue classiche, europee ed extra-europee, la Divina Commedia vanta anche un discreto numero di traduzioni in diversi dialetti italiani, realizzate tra il XVII e il XX sec. proprio per dare spazio e voce alla pluralità delle tradizioni culturali e sociali delle comunità italiane.

Il maestro concertatore della Notte della Taranta, Ambrogio Sparagna, ha cantato i versi delle Commedia dantesca. Il ritmo e la musicalità delle parole sono perfettamente in armonia con la scala musicale semplice (corta) della pizzica salentina; i versi in terzine e l’organetto del
maestro Sparagna sono il filo rosso che declina e sviluppa l’armonia della pizzica in cui la voce del maestro è semplice, chiara come è quella dei pastori.

Il maestro Sparagna, esperto studioso del folk, ha scritto e realizzato una pagina musicale popolare e colta rispettosa delle tradizioni, dimostrando che la Divina Commedia è la poesia dell’Europa
mediterranea. I giovani, le scuole, il teatro vive studia e rappresenta la Commedia dantesca, che è un’opera che non invecchia mai. Vivere Dante Alighieri per essere, almeno per un giorno, poeti.

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Liberamente  ispirato a  “Discorso  drammatico in un palco vuoto in una notte già avanzata ”

Liberamente ispirato a “Discorso drammatico in un palco vuoto in una notte già avanzata ”

(Matteo Bonvicino)

Visioni
di Anna Giaffreda*

Non c’è nulla!

Non c’è vita!

Eppure esisto, incarno, sconfino, mutevole dilago

Racconto con parole nuove,

Mi esprimo attraversando moderni canali!

Non c’è nulla. Non c’è vita

Il palco è vuoto!

Ma c’è energia che si sprigiona da qui e trascina con forza tutto quanto,

Travolgo, ferisco,

Trafiggo, agito, scuoto

Questo è sempre stato il punto di contatto tra queste realtà e le altre

L’unico locus ubiquo

L’unica soglia che attraversa le realtà

Tutte, compresa questa,

la cui natura varia

a seconda del punto da cui la si guarda: il vostro, il mio

Ma non c’è più nulla qui

Non c’è più vita qui

Nessuno, né niente è mai stato qui, ultimamente

Niente sarà più questo posto ormai!

Questo palco è tutta un’illusione?

È tutto finito?

È tutto in un vortice !

Un enorme buco nero che ha attirato e distrutto tutto qui

Non c’è vita qui, non c’è nulla qui.

Eppure IO ESISTO!

Resto in ascolto, osservo i movimenti dei vostri occhi

L’espressione di quei volti di coloro che una volta mi sedevano di fronte

L’altra faccia di questa medaglia

Quella faccia misteriosa che sorrideva, si divertiva e assisteva al buio

Perché, per ogni storia raccontata,

ne esiste un’altra legata intimamente alla prima

È quella di chi guarda, si rallegra o si strugge in un flusso di energia che scorre nel senso opposto

Una forza uguale e contraria

E il tempo … il tempo è dalla mia parte

Indissolubile, consumato, stremato ma VINTO MAI!

Mentre qui, non c’è più nulla, non c’è più vita

Non qui, né altrove, né mai

Ma io ESISTO!

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

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con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Il teatro è la mia chiesa

Il teatro è la mia chiesa

Visioni
di Annarita Risola*

Il teatro è la mia chiesa,

il mio rifugio,

la mia libertà.

Qui osservo,

penso,

sogno,

mi apro all’immaginazione

e senza pregiudizio mi abbandono

all’ascolto.

Mi disseto di racconti possibili.

rifletto,

come la luce che giunge dal proscenio,

incontro me stessa,

l’altro accanto a me,

in quella comunione del piacere,

partecipato e semplice.

Sì, 

io sono una spettatrice,

educata al silenzio,

al rispetto dell’altro.

Abituata ad aspettare,

a non aver paura del buio,

a fidarsi…

Sì, 

è questo il punto!

Noi, 

Fedeli del Teatro siamo così:

educati, silenziosi,fiduciosi…

Ma ora basta!

Riaprite i teatri!

Riaprite.

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344

Foto di Antonio Giannuzzi

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Teatro, io ti prometto di essere sincera

Teatro, io ti prometto di essere sincera

Visioni
di Eleonora Lezzi*

Credo di avere un problema. Quando parlo di teatro sprofondo in un complesso disturbo dissociativo della personalità. Sento di avere personalità multiple che fanno un gran baccano e cercano di parlare senza alzata di mano. Allora oggi proverò a silenziare tutte le altre voci e a far parlare solo l’Eleonora spettatrice, spettatrice abituale, coinvolta ma solo spettatrice.

Questa Eleonora dice che non le manca il teatro. Mi dispiace ma ci ha pensato bene, tanto, e non le manca proprio il teatro.

Perché? Domanda del secolo… perché il teatro troppo spesso la delude. Probabilmente in queste parole c’è il rancore di chi c’ha provato e non è riuscito o, forse, non ci ha provato abbastanza…ma psicologismi a parte, da spettatrice, da pura spettatrice il teatro non le manca perché non la soddisfa, nella maggior parte dei casi non la emoziona e non le piace; riesce a trasmetterle solo come una cronaca asettica messaggi certamente interessanti, ma che non fanno breccia più di quanto possano fare i giornalisti di un tg e questo per lei non è sufficiente. Ciò non vuol dire che non le manca la relazione, il contatto, il confronto ma quell’entrata in sala, quel momento lì seduta sulla poltrona…troppe volte si configura come un momento di…noia. E allora si chiede “è perché sono troppo stupida io o c’è anche qualcosa che non va dall’altra parte?”. Io sarò anche abbastanza stupida ma, in verità, quello che penso realmente è che il teatro è sommerso da una montagna di mediocrità, una proliferazione di tanta, tanta, tanta buona volontà ma poca attitudine (ammetto che nella mia prima stesura la prima parola sgusciata fuori è stato talento).

Sia chiaro, con questo discorso non voglio mettere in discussione il valore sociologico e antropologico del teatro, la sua valenza pedagogica, poi, assolutamente no! Ma non ci posso fare nulla se tutta l’eccitazione che mi pervade all’inizio, quando sto per varcare quella soglia alla fine si trasforma molto spesso in un “mmh carino…andiamo a mangiare?” Non sempre è così, sia chiaro, ma lo è spesso. Troppo spesso. Forse però deve
essere così? Forse sono io che con la mia sensibilità sufficientemente cinica e abbastanza fredda non riesco a farmi coinvolgere? Più vado avanti più mi vengono domande alle quali riesco a dare solo risposte che si contraddicono le une con le altre.

Ma poi andando oltre, se è così importante mi chiedo, perché alla gente non interessa (se non ai soliti pochi).

Di chi è a quel punto il problema, della gente che non è educata ? È un problema di identità? È un problema di ruolo? Di obiettivi, di qualità, di contenuti ? Ancora domande.

Penso poi al fatto che il teatro da secoli si interroga su quale sia la sua identità, il suo ruolo ed è fuori di dubbio che questa sua continua ricerca sia il riflesso nello specchio di quella più profonda che è propria dell’individuo stesso, ma forse bisogna riflettere sul fatto che non tutti hanno la pazienza o la voglia di portare avanti questa ricerca e di farsi determinate e scomode domande. Allo spettatore medio di questa crisi di identità costante non importa. Se chiedo a mia madre di venire a teatro con me, lei mi risponde di no, perché si annoia, perché non lo capisce, perché ha già tanti problemi e ha già tante domande a cui dover cercare risposta, che non ha bisogno di farsene delle altre. Ecco, forse la grande differenza tra il teatro e la religione, tra il silenzio degli spettatori di teatro e la gran voce dei fedeli che, durante questo periodo di pandemia hanno chiesto la riaperture della Chiese, è anche questa; il teatro crea domande, la Chiesa dà risposte e anche piuttosto confortanti.

Comunque, tornando al motivo per il quale alla me spettatrice, a lei personalmente, il teatro non manca è perché semplicemente spesso la lascia indifferente.

Mi viene in mente allora una frase che ho letto di Peter Brook e che dice “la forma teatrale non esiste per permettere a un gruppo di persone di raccontare, di dire, non è una forma di comunicazione attraverso la quale una persona possa spiegare qualcosa a un’altra, un forma in
cui esiste chi emette un messaggio e chi lo riceve (…) Credo che il teatro sia una possibilità data all’uomo di accrescere durante un certo tempo l’intensità delle sue percezioni. È tutto qua ma è enorme.” Ripeto forse è un mio problema di sensibilità, anzi di insensibilità, ma quanti riescono a creare realmente questa condizione? Per me pochi. Il resto è un semplice apprezzare lo sforzo, passare una serata diversa senza troppe emozioni e senza troppe pretese, tanto vale andare ad una conferenza, un incontro per discutere di certi temi piuttosto che di altri. Ed è qui il problema: come posso desiderare qualcosa che non mi genera emozioni e sentimenti, almeno non di solito. Ecco perché per me l’andare a teatro, se escludo tutte le altre motivazioni più legate alla mia personale storia, diventa un’attività accessoria rispetto alla quale possono trovare altri e più facili surrogati.

Quando vado a teatro vorrei ogni volta poter toccare le rughe che si formano attorno alla bocca durante un sorriso o una risata, sentire la tensione sulle tempie e attorno agli occhi mentre penso e rifletto su quello che vedo, vorrei sentire il naso umido perché mi sto commuovendo, stringere tra labbra le lacrime salate e non riuscire più a mettere a fuoco per gli occhi umidi; vorrei vedere il mio corpo che si protende in avanti per ascoltare meglio, che reagisce, che si contrae e si rilassa, si contrae e si rilassa e ancora e ancora. Ecco vorrei che il teatro fosse sempre contrazione e rilassamento. Vorrei che il teatro, anche da spettatrice, fosse un desiderio. Bene, questa è la confessione di una cinica insensibile che ha scelto di fare del teatro la propria ragione di vita, amandolo e odiandolo profondamente.

Ma si sa, le più intense relazioni sono anche quelle più complicate.

Magari domani dirò altro, magari domani dirò il contrario, magari un giorno io e il teatro faremo pace. Certo è che le relazioni più solide si basano sulla sincerità. E allora d’ora in avanti, teatro, io ti prometto di essere sincera.

In foto: Fifty kids di Elliott Erwitt

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori . Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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LABPERM /Domenico Castaldo

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Giornata internazionale della poesia

Giornata internazionale della poesia

Visioni
di Gigi Mangia

Il Teatro Koreja ha, nel suo nome, la figura di una giovane danzatrice: così, nella “Giornata dei poeti”, il pensiero corre al sommo poeta, Dante Alighieri, il quale fece della donna la figura angelo, “intelletto d’amore”, assegnandole il ruolo di guida e quindi di salvezza dell’umanità.

Nella “Vita Nova” il poeta fiorentino disegna la figura della donna e nel Paradiso della Commedia le assegna il compito di guidare il poeta verso la visione di Dio. La donna angelo diventa purezza, “intelletto d’amore”, principio di salvezza. .

Sono passati settecento anni dalla morte del poeta che diede all’Italia la lingua. Rimangono ancora vive le sue idee sulle debolezze umane e le vie per superarle.

La ricerca della conoscenza della natura dell’uomo è senza tempo e non ha un calendario. Dante, nel suo messaggio, non è stato ancora superato, per questo porta ancora in scena la storia dell’uomo.

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Il mio posto a teatro

Il mio posto a teatro

Visioni
di Gianni Pignataro*

Il mio posto a teatro è il C16, fila C poltrona numero 16 della platea di Koreja. O meglio, lo era prima della pandemia. Mi ci sarei potuto andare a sedere sopra anche al buio, lo avrei trovato comunque ad
occhi chiusi prima della pandemia. Poi la pandemia ha cambiato le cose, ha fatto da spartiacque. C’è un prima e ci sarà un dopo, come per l’anno del Signore.

Di più, la pandemia ha avuto un impatto sull’umanità superiore alla venuta del Cristo, almeno nel breve periodo. Dopo trentatré anni di vita di Gesù erano in pochi a conoscerne l’esistenza, a poterne apprezzare la grandezza e la portata rivoluzionaria del pensiero e del vissuto. Certamente i suoi discepoli si prodigavano nel diffondere il Verbo, ma sarebbero stati necessari molti e molti anni perché le sue parabole, la sua predicazione, il suo esempio raggiungessero un numero rilevante di abitanti del pianeta.

Quanto alla pandemia invece sono passati appena una cinquantina di giorni da quando si sono diffuse le prime notizie relative al virus fino al momento, in cui tutti abbiamo imparato nostro malgrado a conoscere il significato della parola lockdown. E una nazione dopo l’altra miliardi di persone (praticamente il mondo intero con poche, fortunate eccezioni)si sono visti improvvisamente, inaspettatamente costretti a vivere una vita nuova, tutta diversa rispetto a prima.

Un’esistenza privata della sua consueta pienezza, per certi versi anche eccessiva. Questo non si può più fare, quest’altro è proibito, questo comportamento è assolutamente vietato, questo invece è da
evitare. Le nostre vite si sono di colpo come svuotate. A dirla tutta anche di tanta roba inutile, sia pure vendutaci dal sistema in confezione regalo. Insieme a tanti orpelli siamo stati tuttavia obbligati a rinunciare anche a quanto rappresenta ciò, per cui vale la pena vivere. Le nostre attuali esistenze sono innegabilmente impoverite, assottigliate, rarefatte. Sono come asfittiche, sospese.

Il mio posto a teatro Koreja non esiste più. La platea è stata modificata, in ottemperanza a uno dei vari Dpcm. Con uno zelo forse anche maggiore di quello richiesto, tanta la voglia di non mettere a rischio la salute del pubblico e di scongiurare la chiusura del teatro, salvaguardando il proprio lavoro. Con senso della responsabilità e scrupolo la capienza del teatro è stata ridotta per ottenere il necessario distanziamento fisico e pur di proporre lo spettacolo in assoluta sicurezza un certo numero di posti è stato cancellato. Tra questi il mio caro C16, dopo tanti anni di fedeltà reciproca. Dire che ci ero affezionato non rende a pieno l’idea. Neanche dire che ci ero molto affezionato. E’ che quello era proprio il mio posto, il mio punto di vista sul teatro.

Ma tant’è, “così vanno le cose, così devono andare” canta il poeta. Me ne sarei fatta una ragione, avrei scelto un altro posto pur di continuare a vedere il teatro. O meglio a fare il teatro, sia pure da semplice spettatore. Perché non è un segreto che il pubblico guardi l’attore che a sua volta lo guarda, ascolti chi sta sul palco, il quale reciprocamente lo ascolta. Magicamente si crea un fluido, si genera uno scambio di energia. Il teatro accade soltanto se a qualcuno sul palcoscenico corrisponde qualcuno in platea, altrimenti non accade.

Dunque non può esistere quella sorta di Netflix del teatro (come si chiama, Chili?), una vera e propria bestemmia pronunciata improvvidamente da chi evidentemente non conosce neanche per sentito dire la sacralità del rito teatrale. Perché chi vi ha assistito anche una volta soltanto sa bene che quello visto in tv non è teatro. Sa perfettamente che certe emozioni, certi incanti prendono forma solo in presenza, quando può realizzarsi l’alchimia tra attori e spetta(t)tori.

Per favore, rivoglio il mio C16 a Koreja, il mio posto a teatro. La mia fame spirituale non è diversa da quella del praticante, che la domenica ha ripreso tranquillamente da mesi a frequentare il suo luogo di culto preferito. La mia voglia di bellezza non è inferiore a quella di chi visita i musei, oramai riaperti da tempo, almeno in zona gialla. La mia esigenza di ricrearmi (si, anche questo significa andare a teatro) non ha meno importanza rispetto al discotecaro, che ha ballato tutta l’estate al ritmo di UNZ UNZ UNZ a 120 bpm. Se ci sono obblighi di carattere sanitario, necessità di evitare gli assembramenti, ci siano per tutti. Se ci sono possibilità di rinfrancare lo spirito, parimenti ci siano per tutti. Senza deroghe. Non è tollerabile che attività di comunità, assolutamente assimilabili sul piano del rischio epidemiologico, vengano regolamentate in maniera diversa. Sarebbe come accettare la distinzione tra cittadini di serie A e di serie B. E questo è evidentemente irricevibile.

Del resto la cultura e l’arte, nell’immaginario collettivo di questo nostro strambo paese, non vengono affatto incluse tra i bisogni primari. E’ opinione comune che si tratti di una sorta di hobby, che banalmente non ci si mangi, come ebbe a dire un ministro dell’economia fortunatamente appartenente al passato. La sensazione sgradevole è che si tratti di un miserevole calcolo della serva, che si misurino le ragioni e gli argomenti degli uni e degli altri in funzione del numero di voti potenziali, vale a dire in base al consenso elettorale. Che tristezza, se i teatri restano chiusi esclusivamente perché i teatranti non riescono a fare lobby come i gestori delle sale da ballo e i ristoratori oppure perché i fruitori del teatro sono numericamente meno dei fedeli di Santa Romana Chiesa.

Scriveva Julian Beck (senza maiuscole e senza punteggiatura) che “la gente va a teatro per la lampada di omar dove altro la troverebbe la gente va a teatro per vedere il drago sconfitto la gente va a teatro per mescolarsi al vento la gente va a teatro per le chiavi della salvezza la gente va a teatro per imparare a respirare la gente va a teatro per la liberazione sessuale per la liberazione spirituale per il messaggio la gente va a teatro non per cattive intenzioni”

Siate ragionevoli o almeno siate gentili, ridatemi il mio caro vecchio C16 a Koreja.

In foto: Vita nel 2022 – Illustrazione di Walter
Molino (1962)

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Il corpo è l’unico teatro che mi resta

Il corpo è l’unico teatro che mi resta

Visioni
di Veronica Miceli*

Seduta sulla panchina opposta vi guardo:  cosa avete da non dire?

Il corpo è l’unico teatro che mi resta, per guardarvi, per non sgretolarmi, nonostante i continui lock down e quarantene.

Vi vedo attraverso me, senza la quarta parete. Come in teatro. Come quando mi sedevo in Platea, fila B, Posto 16 accanto alla mia amica Tina, sognatrice come me. Vi sento attraverso il corpo che non dice, distanziato e in autocombustione. Occhi al vento e bocca coperta. Qui sembra non esserci niente, invece, i loro corpi, davanti a me, parlano. Sono silenzi incarnati.

“Pensavo che questo Covid ci avesse messo a pensare, ripulire le anime per farci capire i veri principi e valori della vita. Dovevamo essere più vicini, sorridere, capire che la vita è bellissima. Dovevamo iniziare a pensare che una passeggiata poteva essere importante, vedere i fiori…esplorare le case abbandonate, come quando ero piccolino”.

“Invece, abbiamo tutti aumentato la nostra invidia del prossimo, delatori e segnalatori, ragioniamo di economia fingendo di capirne, ci lamentiamo…ma questo lo facevamo già, solo che ci lamentiamo di più…mentre i poveri restano più poveri e i ricchi ancora più ricchi…”

Mentre vi guardo parlare in silenzio, stringo il mio “Teatro in tasca”, l’ultimo della Stagione Teatrale 2019/2020.Lo porto sempre con me, come un amuleto, nel portafoglio sguarnito di denaro e pieno di tessere fedeltà.

L’assenza di quarta parete mi manca. Mi manca la sua presenza di ombra, il percepire la continuità emozionale tra me e gli attori. Mi manca il travaso di me sul palcoscenico.

Sento la mancanza quando ci sono, quando sono presente a me stessa e fuggo dalle video chiamate e chat varie che popolano la mia giornata. Il mio corpo teatro è diventato troppo pieno di personaggi e storie. Tracima. Come l’acqua in una brocca, mentre rimango a guardare assetata, mi sento disabitata, svuotata dalle miei emozioni che hanno bisogno di ricevere un nome. Il teatro dava loro un nome. Aveva la magia di svuotarmi e riempirmi di nuovo, in una fluidità catartica.

Aveva la capacità di rendere materiale la mia fantasia e darmi gli strumenti per comprendere il nuovo volto di chi incontravo, gli avvenimenti della vita e i miei sogni.

Sento ancora di più la mancanza nell’incomunicabilità delle mascherine, che lasciano in vista solo occhi impauriti come foglie marroni al vento gelido del nord. Le pupille agitate dal mare in burrasca e la barca sociale alla deriva.

Ma l’agitazione di quel mare negli occhi, chi la vede? Se non ci sono
contenitori simbolici, come il teatro, per trattenere la sua effervescenza. La schiuma frizzante si disperde, mentre il teatro rende vivo nel tempo anche ciò che non vediamo immediatamente, ma abbiamo visto e ci portiamo dentro come archetipo.

Non pensate che il teatro è il luogo dell’archetipo? Sì, il luogo in
cui il lupo, il falco, l’aquila, l’istrice, il serpente, la libellula, l’elefante, la balena, la volpe, il fuoco, l’acqua, tutta la materia visibile e il suo collante, concentrano la loro forza nell’uomo. Intendo le forze terrestri e universali della vita, del non detto e del tutto esplicito, dell’umanità che ci abita a partire dai sentimenti di odio fino all’amore più sublime.

Sento l’assenza del teatro quando vedendo i miei più cari amici comincio a sentirli estranei mentre, al contrario di prima, si sta erigendo nella realtà, quella quarta parete tra attore e spettatore, che non volevamo di certo.

Adesso vivo questo nel mio corpo, deprivata dello spazio esterno da
abitare socialmente e in cui travasare le emozioni e le narrazioni generatrici di cultura.

Che siamo senza cultura, senza effervescenza e prossimità emotiva?
Senza contatto, la vostra bocca mi è estranea, insieme ai vostri pensieri. Vi percepisco come distanze, seppure siete due metri da me, seduti su quella panchina, annoiati dalla vita.

Seppur lo stato politico e di “igiene publica” di sicurezza adesso ce
ne vuole privare, io abito il teatro nel mio corpo, in strada, in casa, a
lavoro, a scuola, nella bottega vicina. Io abito l’assenza di quarta parete in teatro e in strada, nel teatro della vita. Qui sembra che la quarta parete si stia formando. La vediamo tutti la divisione: tutti lì nell’ombra un po’ smarriti, con la sensazione di essere prigionieri in una gabbia aperta.

Questo è il teatro ora, la strada, la vita reale: voi che non comunicate seppur seduti vicini, in una panchina.

In foto: Setting,
Opera di Steinumm Thòrarnsdòttir in Westlake Park, Seattle.

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori

Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

OPEN PRACTICE OPEN MIND IN LIVING BODY

2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance