Calendario

March 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Il 27 Marzo il sipario chiuso i palchi vuoti

Il 27 Marzo il sipario chiuso i palchi vuoti

Visioni
di Gigi Mangia

Da qualche giorno mezza Italia è in zona rossa ed è sicuro che i teatri non potranno aprire.

Il presidente Mario Draghi, nelle comunicazioni al Senato e alla Camera per chiedere la fiducia al suo Governo, argomentando l’importanza della cultura ha affermato che l’Italia vanta un patrimonio culturale unico nel mondo, ciò comporta che la cultura meriti importanti investimenti. Nella cultura, dice Draghi, l’Italia è l’Italia, cioè il nostro paese è forza strategica per cambiare e superare la crisi causata dall’epidemia la quale ha cambiato radicalmente sia la società sia l’economia. Il Presidente Mario Draghi conosce molto bene il ruolo della cultura italiana nel mondo e quindi sente l’importanza e il valore economico che l’Italia può sfruttare utilizzando al meglio proprio la cultura, il 27 marzo, giornata mondiale del Teatro, i palchi saranno vuoti e il sipario chiuso, il teatro continuerà ad essere senza pubblico.

Sarebbe importante utilizzare il 27 marzo come giornata di discussione per approfondire il valore e il ruolo del teatro in un modello di rapporti sociali che si incarica di superare la crisi mettendo in agenda il tema di un nuovo modello di organizzare la città e la partecipazione agli eventi culturali. Sarebbe utile studiare come sfruttare con intelligenza i fondi europei del recovery plan e infine chiedere a Draghi di ascoltare le imprese culturali per progettare nuovi interventi, valorizzando l’esperienza di chi lavora su campo.

Il mondo della cultura per sostenere il turismo organizza 1500 Festival: non è solo una grande operazione di promozione dei valori e delle tradizioni del nostro Paese, ma sono anche miliardi di euro per l’economia, lavoro buono che premia la lunghissima tradizione dell’Italia nel fare e nel promuovere cultura.

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1 ott

LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

1, 2, 3, 4, 5 ott

con Domenico Castaldo, Marta Laneri e Zi Long Ying del LABPERM

OPEN PRACTICE OPEN MIND IN LIVING BODY

2 ott

Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Se la finta realtà è concreta fantasia

Se la finta realtà è concreta fantasia

Visioni
di Marinella Miceli*

Essendo un’appassionata, una spettatrice ed un’ insegnante di scuola dell’infanzia, provo una grande malinconia. Sono convinta che gli spettacoli teatrali insegnino a superare le paure, come quella del buio. Per questo accompagnavo spesso i miei piccoli al Teatro Koreja di Lecce.

Ricordo i loro abbracci e le strette di mano quado si spegnevano le luci della sala, le loro faccine di stupore nel vedere gli effetti dei fari luminosi e le grasse risate per i mostri finti o i pagliacci buffi.

Ritengo che la chiusura prolungata dei teatri abbia negato ai nostri bambini la possibilità di immaginare e di entusiasmarsi di fronte a realtà spettacolari intimamente vissute. Il mondo favoloso, le trame fiabesche, il mescolarsi dei colori ed i dialoghi filtrati dalla loro fantasia soggettiva capace di trasformare la finta realtà in “concreta fantasia”, sono spunti educativi indispensabili per consentire lo sviluppo di una sana creatività.

Mi auguro che i teatri possano essere riaperti al più presto, garantendo contemporaneamente sicurezza e presenza, per consentire a grandi e piccini di tornare ad occupare le sale e godere dell’apertura del sipario, ormai da  troppo tempo abbassato.

Fra foto e video abbiamo raccontato che il teatro ci manca:

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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LE PECORE DELLA LUNA

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina L’arte non può andare a dormire

L’arte non può andare a dormire

Visioni
di Paride Napolitano*

Pensando alla chiusura dei teatri e a quello che tutti gli operatori di questo settore stanno vivendo, mi vengono in mente, chiare e lampanti, le parole di Konstantin Stanislavskij. Attore, regista e pedagogo, egli visse appieno la Rivoluzione del 1917 e in quel periodo di tumulti e guerre civili, definì i doveri dell’artista in una società.

Nei suoi appunti per un articolo, “L’educazione estetica delle masse popolari”, lanciava un messaggio ai leader della Rivoluzione e asseriva: “Uno dei sensi più importanti dell’uomo, un senso che lo distingue dagli animali e lo innalza al cielo, è quello estetico” riferendosi ovviamente all’arte. Ma nel 1922 egli si dimostrò ancora più risoluto, lanciando un appello che, oggi, risuona potente:

“Teatro per gli affamati! Fame e teatro! Non c’è alcuna contraddizione in questo. L’arte non è un lusso nella vita della gente, ma una necessità quotidiana. E’ qualcosa di cui non si può fare a meno, qualcosa di assolutamente necessario per un grande popolo. Il teatro non è uno svago dei perditempo o un gioco piacevole, ma un’impresa culturale della massima importanza… Non si può mettere da parte il teatro per un po’, chiudere le porte ai suoi lavori, fermarne la vita. L’arte non può andare a dormire per essere risvegliata quando ci pare e piace. La morte dell’Arte è un disastro nazionale …Il tempo passerà e la fame verrà sconfitta. Le ferite si rimargineranno. E allora dovremmo essere ringraziati per aver salvato l’Arte in un periodo di martirio. Siamo tutti felicissimi di offrire oggi l’Arte che salviamo per la gente, l’arte che aiuta la gente che muore di fame”.

Certo, la chiusura dei teatri è dovuta a una pandemia, non abbiamo a che fare con guerre civili. Ma personalmente trovo particolarmente attuale il discorso di Stanislavskij.

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina La goccia che scava la roccia

La goccia che scava la roccia

Visioni
di Valeria De Rinaldis*

Vorrei presentare la mia storia relazionale con il teatro, prima di esprimere una riflessione sulla sua attuale situazione. Sembra che io sia messa così per caso tra il gruppo degli spettatori. Infatti, non vado a teatro da chissà quanti anni!

Lontana per diversi motivi, personali, familiari, economici.

E’ da tanto che non godo del buio e del silenzio che arrivano sfumati in sala con il sottofondo di “shh shh”. Quel buio e quel silenzio che mi facevano chiedere “mi piacerà?”

Alla fine, ho sempre salvato qualsiasi opera, anche la più noiosa (mi consentiva un sonnellino in santa pace!), anche la peggio interpretata (miglioreranno le loro performance!!), anche la più provocatoria (potrei scandalizzarmi!!!), perché tutte mi avevano trasmesso un’emozione, sia essa positiva o negativa.

E’ proprio questo che mi manca: emozionarmi! Emozionarmi senza conseguenze, provare sensazioni profonde nel buio e nel silenzio, per poi uscire nella luce e pian piano ristabilizzare il cuore e il respiro sul ritmo quotidiano della vita, che è tutt’altra cosa.

E posso ora partire con la mia riflessione, iniziando proprio dall’emozione. La crisi partita nel 2020, ha stravolto tutti gli aspetti della nostra vita, a partire dalla quotidianità, per colpire la socialità, l’economia, il lavoro, la salute e gli affetti.

Dunque, il ritmo quotidiano della vita, che è tutt’altra cosa dal teatro, durante la pandemia ci ha riservato emozioni fortissime, per lo più negative, di grande incertezza, spesso dolore e perdita, paura e scoraggiamento, intervallate da quelle di speranza, di raccoglimento, di ripresa dal dolore e dalla perdita. In questo contesto, lo spettacolo, sia esso serio, semiserio o comico, sia esso cinema, danza o teatro, sia esso all’aperto o al chiuso, sarebbe medicina per l’anima.

In questo contesto, lo spettacolo, sia esso serio, semiserio o comico, sia esso cinema, danza o teatro, sia esso all’aperto o al chiuso, sarebbe medicina per l’anima.

Ma è una terapia non somministrabile in un contesto socio-politico in crisi, perché la cultura è sottile e delicata e, davanti al macigno dei mass media, si ritira all’angolino; la storia però ci insegna che, essa, come goccia che scava la roccia, è capace di dilagare nuovamente con la sua forza intelligente. Ma ancora non è il momento! Ora…c’è crisi!

Concludo, ancora con la mia esperienza. Avevo 8 anni quando morì mio nonno. Era il 1980.

Nello stesso periodo, morì anche il cinema nazionale e internazionale e la piccola sala cinematografica del paese, il cui titolare era proprio mio nonno. Dopo essere stata ceduta a chi, senza scrupoli, mise il manifesto di un film pornografico accanto al manifesto del suo funerale, chiuse definitivamente i battenti e noi ci chiudemmo nelle nostre case con la TV accesa a tutte le ore a fare zapping!

Poi, il cinema si è ripreso e oggi…è di nuovo in crisi. E’ in crisi anche la televisione e vince su tutto internet, i social e i piccoli schermi degli smartphone. Ho divagato sul cinema, ma il teatro ha avuto e ha tutt’ora la stessa, se non peggiore, sorte.

A questo punto, confido nella goccia che scava la roccia e nel fatto che possa dilagare nuovamente;alla riconquista dei suoi spazi.

Volete sapere perché i fedeli chiedono (e ottengono) la riapertura delle Chiese e i tifosi chiedono (e ottengono) la ripresa del campionato? Perché la Chiesa è potere e il calcio è soldi. Il teatro è “solo” cultura!

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori

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LE PECORE DELLA LUNA

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TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Al margine della città, c’è un luogo

Al margine della città, c’è un luogo

Visioni
di Massimo Grecuccio*

Al margine della città, c’è un luogo alieno e familiare. Per entrarvi, guado un piccolo giardino. Ultime sigarette svaporano con i rumori del giorno. Varco la soglia, sono nel foyer,una piazza e una navicella.

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Qui attendo. Nella china dei giorni finché morte non ci separi sto sempre. Qui invece, per fatale appuntamento, aspetto i simulacri di giorni qualunque.

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Entro in una zona franca. In scena sospinte da correnti sotterranee un andirivieni di maschere. I corpi e le voci mi inondano, sciolgono il tempo, dragano l’anima. Su tutto aleggia un cimitero sospeso di quadri spenti senza rimedio.

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Le ombre dei convenuti si mescolano nella penombra amniotica una comunità fugace mi circonda. Posso infine giocare – con scadenza breve – il ruolo del guardone impunito.

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori

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Carla Pollastrelli , Eugenio Imbriani

TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina DDT

DDT

Visioni
di Guido de Liguoro*

Ettore Guardafico era Commissario al Dipartimento Divertimenti per Tutti, meglio conosciuto come DDT. Quella mattina era molto preoccupato ma cercava di nasconderlo all’occhio attento delle telecamere. E ci
riusciva benissimo. Era un grande esperto della simulazione, d’altra parte non si poteva arrivare ad un posto così importante, così ambito, superando decine di eliminazioni, senza essere un grande simulatore.

Era finalmente arrivato a un passo dalla realizzazione di tutti i suoi sogni, non poteva permettersi neppure il più piccolo errore, la più piccola disattenzione. Le telecamere che lo seguivano ogni momento erano
implacabili. Guidate da un sistema incorruttibile di intelligenza artificiale erano pronte a cogliere ogni sua debolezza, ogni espressione fragile, ogni sillaba impropria. La settimana prossima il televoto avrebbe finalmente consacrato il nuovo Grande Imbonitore, Insuperabile Buffone, Fonte di Tutte le Emozioni e di Tutte le Lacrime. In gara erano rimasti in due; lui e Serena Allegrini, attuale Commissaria al Dipartimento Affetti Vissuti Intensamente, DAVI in sigla.

I sondaggi prima di tutti i televoto nazionali erano ormai vietati da anni ma tutti continuavano a realizzarli clandestinamente; secondo le sue informazioni era ancora saldamente in testa, la sua strategia aveva portato i risultati attesi e anche più.

L’idea era semplice, gli anni passati come Commissario gli avevano permesso di metterla in pratica in modo diffuso: estendere la partecipazione attiva del pubblico, gli spettattivattori, a tutti i settori dai quali era ancora, ingiustamente, esclusa. Aveva in fondo solamente seguito l’esempio dei vari Master Chef o X Factor senza parlare della Casa del Grande Fratello.

Aveva cominciato dai musei con i concorsi Vinci la Tela, chi avesse votato la più votata tra le opere esposte ne avrebbe ricevuto una riproduzione a grandezza naturale. Tra chi invece aveva votato la meno votata, veniva sorteggiato un fortunato che avrebbe ricevuto un vero falso d’autore appositamente realizzato dal vincitore del concorso complementare “Fallo vero!” tra i falsari più reputati del mercato. Tra i suoi mille progetti c’era quello di un concorso Via la maschera per chi avesse indovinato chi si nascondeva dietro i falsi vincenti. Il fatto che i falsi vincenti andassero ai vincenti veri a lui sembrava filosoficamente sublime soprattutto perché sapeva che una simile considerazione non era politicamente corretta, non era adatta agli spettativattori. Era una delle sue piccole forme di ribellione al sistema che gli consentivano di sentirsene abbastanza estraneo per scalarne consapevolmente i gradini.

Quest’anno era in corso per la prima volta il concorso nazionale Museo Diffuso che affidava alcune opere di grande notorietà a famiglie estratte a sorte che le avrebbero esposte nelle loro case dove sarebbero state mostrate agli spettattivattori naturalmente insieme ad ogni pur minimo accadimento della famiglia. Le famiglie con figlie e figli adolescenti erano orgogliose di metterne in mostra la nascente sessualità, sempre nei limiti della decenza, beninteso. Famiglie fino allora monotonamente affiatate scoprivano hobby strampalati e relazioni sospette. Un enorme successo! Le sei famiglie rimaste in gara dopo mesi di trasmissione ininterrotta su un canale dedicato dove venivano proiettate affiancate, ospitavano: L’origine del mondo di Gustave Courbet, La toilette di Henri de Toulouse-Lautrec, Il David di Donatello (quello di Michelangelo avrebbe posto qualche problema logistico), Marilyn Monroe di Andy Warhol, Il bevitore di Giuseppe De Curtis (Teomondo Scrofalo) e Untitled (for you, Leo, in long respect and affection) 3 di Dan Flavin.

Con lo sport era stato più delicato: aveva cominciato affidando al pubblico, in veste di giudice, la valutazione delle prove degli sport di abilità, pattinaggio, ginnastica, tuffi, poi sostituito con giudizi le misurazioni di salti e lanci, mutuato dal golf il sistema degli handicap per tutti gli sport a punti, dove però l’handicap era attribuito a fine gara grazie ad apposite App. Stava aspettando a breve proposte da un comitato di esperti che stava lavorando sugli sport cronometrati.

Aveva poi fatto rivivere l’esperienza di Masterpiece per una scrittura partecipata dal pubblico di racconti e romanzi, per i saggi non c’era problema, nessuno li leggeva più, e aperto al pubblico la proclamazione
dei vincitori dei premi letterari. Il suo capolavoro era stato eliminare la necessità di leggere i testi in gara per poter votare.

Che cosa lo preoccupava dunque? Quella mattina Giacomo de’ Canti, il suo fedele segretario che aspirava a sostituirlo nella carica, gli aveva sussurrato all’orecchio, lontano dai microfoni la parola chiave che
indicava grane grosse in arrivo.

Guardafico si era infilato nel bagno dell’ufficio non appena l’aveva ritenuto innocuo agli occhi degli spettatori, in fondo andare in bagno non era ancora un segno di debolezza, e sebbene in bagno l’uso delle telecamere fosse assolutamente proibito, si era premurato di infilarsi le cuffiette del telefono simulando un improbabile balletto seduto sul water come stesse ascoltando una delle hit del momento mentre la voce sintetica gli leggeva il rapporto inquietante dei suoi servizi di informazione.

Riguardava i teatri. Non il teatro, quello era ormai rientrato nel novero dell’offerta di intrattenimento diffuso e di valutazione partecipata dagli spettattivattori. Proprio i teatri; i teatri come luoghi fisici. Nonostante le offerte di ingaggi, di sovvenzioni, di partecipazione ai più seguiti programmi, i teatranti si rifiutavano di accettare il buon senso comune e sfidavano il potere del DDT, il suo potere, continuando a costruire possibilità di incontro fisico con il pubblico. Nelle cantine, nei cortili, sulle spiagge, nei posti più improbabili, i teatranti c’erano. Si esibivano. In pubblico. Senza voto!

Ma la cosa più grave che il rapporto gli segnalava era che attorno a queste cosiddette Rappresentazioni Libere si stavano cominciando a notare gruppetti di persone, bambini ma anche adulti, che giocavano a nascondino. Ragazzi ma anche anziani che parlavano di libri letti per davvero, che li leggevano insieme perfino. Vecchie signore che sembravano uscite dai ricordi di sognatori nostalgici cucinavano piatti banali ma, dicevano, buoni, buoni davvero. Ragazzi si baciavano, di nascosto! C’erano pittori che trasportavano su cartoncini ad acquarello quelle scene indecenti. Sembrava che i teatri fossero al centro di una crescente rivolta.

Guardafico si alzò, gli occhi furiosi, dimenticando ogni necessità di simulazione a beneficio di eventuali telecamere abusive. E un imperativo ben chiaro in testa. Bisognava farla finita con i teatri! Prima che la gente cominciasse a voler pensare!

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori

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immagine di copertina Vedere le parole con gli occhiali maschili

Vedere le parole con gli occhiali maschili

Visioni
di Gigi Mangia

Luigi Romani, direttore della sezione “Sinonimi della lingua Italiana” dell’enciclopedia Treccani online, dizionario della lingua italiana più conosciuto nel mondo, vede le parole con gli occhiali maschili e fa un gravissimo errore, da studioso e da uomo di mancanza di intelligenza perché si rifiuta di correggere il suo errore richiesto con una lettera indirizzata alla Treccani firmata da oltre 100 donne impegnate nella cultura.

È un modello, quello di Luigi Romani, maschile, sessista, razzista, superato dalla storia archiviato dalle lotte per l’emancipazione delle donne, dalla dichiarazione di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti e sul riconoscimento della parità di genere.

Voler considerare sinonimi della parola Donna: “donna da marciapiede, cagna, zoccola, serva” significa perdere il senso della cultura e soprattutto essere fuori dalla storia. Queste parole dovrebbero essere superate. La donna si è liberata di questi stigmi infamanti e si è affermata, superando l’uomo nei ruoli più importanti della scienza, della cultura, della politica, dell’economia. Le donne del XXI secolo sono impegnate nelle missioni spaziali, nella direzione dei centri di ricerca, sono rettori nelle università e sono arrivate anche alla vicepresidenza degli Stati Uniti, con una donna nera, Kamala Harris la quale, ha ragione, ha affermato di non essere la prima. Le parole danno vita al pensiero, lo rappresentano. Le parole sono la sintassi che animano il “genius loci” e rappresentano i volti e i luoghi e promuovono e regolano i rapporti sociali. Le parole hanno scadenza, perdono il significato rappresentativo, sono superate dalla storia, perché sono figlie del tempo.

Nella Francia del secolo scorso, fu una donna ad inventare un sinonimo, molto più elegante di quelli della Treccani: “Donna squillo”. Si chiamava Madame Claude. Il suo talento imprenditoriale fu quello di avere l’idea di sfruttare il telefono per evitare ai clienti noti di esporsi di persona nel recarsi nei bordelli. Fu lei a coniare il termine “ragazze squillo” molto adatto al sistema di prostituzione nato per garantire la massima discrezione sia ai clienti, sia alle “squillo”. La storia di Madame Claude ci insegna che spesso le parole sono la rappresentazione di comportamenti sociali significativi per la storia in cui hanno un tempo e che però non sono sempre valide, ma funzionali alla geografia sociale secondo i tempi e le tradizioni.

Le parole sono come i capelli, cadono o diventano bianche, a volte perdono di significato, altre volte diventano volgari e offensive, addirittura immorali.

Il dizionario Treccani non ha scuse, dovrebbe modificare l’errore commesso, poiché quelle parole non sono sinonimi di donna ma, più che altro, epiteti fuori dalla civiltà e dalla cultura, superate dalla storia.

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immagine di copertina Il posto delle fragole

Il posto delle fragole

Visioni
di Koreja

“Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immortalità”. Questa notte Maria Teresa Dal Pero ci ha lasciato per fare un viaggio verso un luogo unico, il posto delle fragole , che tanto amava.

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immagine di copertina Quando la morte ci insegna a pensare

Quando la morte ci insegna a pensare

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di Gigi Mangia

La tragica storia di Luca Attanasio, diplomatico in Congo, ci fa molto pensare sul perché sia morto sfidando la paura, per affermare i valori della solidarietà e difendere i bambini in quella terra senza istruzione. La paura del Coronavirus ci ha chiusi dentro i confini sicuri degli Stati, ci ha disarmati dalla sensibilità e dalla capacità di fare il bene dell’altro, di accoglierlo e di saperlo ascoltare.

La paura è un muro alto ed insuperabile ai nostri occhi e ci impedisce di vedere la sofferenza degli ultimi, degli esclusi, degli emarginati, degli schiavi. Il giovane ambasciatore non si era chiuso. Non era prigioniero della paura. Ai confini chiusi aveva scelto di vivere sulla soglia, per avere gli occhi aperti sul mondo, per conoscere il disagio sociale, per combattere l’ingiustizia e liberare i bambini, gli innocenti senza colpa.

Luca Attanasio credeva nell’istruzione dei giovani e vedeva nella scuola la strada del futuro, per un mondo finalmente rispettoso dei diritti fondamentali della persona. Luca Attanasio è morto sul campo dell’impegno civile e solidale, la sua fine dolorosa ci ha insegnato a riflettere, ci ha esortato a non essere indifferenti, ma attenti all’ingiustizia. Attenti a non subire la paura che ci chiude gli occhi e non ci fa vedere il male.

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