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November 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Una civiltà senza cuore

Una civiltà senza cuore

Visioni
di Gigi Mangia

Mi chiedo: quale Natale può vivere un bambino innocente e senza colpa in una civiltà senza cuore, che chiude gli occhi per non vedere e gira le spalle per disinteressarsi della sua vita crudele di indifferente abbandono?

Sul Corriere della Sera del 29/11, Lorenzo Cremonese, nel suo servizio in Afghanistan, scrive “nel Paese dei talebani, all’estremo dell’economia, ci sono almeno un milione di bambini che rischiano di morire di fame. Ci sono genitori incapaci di dare cibo ai loro figli e vendono quindi, i bambini per 500 dollari, mentre le bambine sono vendute a 1500 dollari, destinate ad essere spose in tenerissima età”.

Ai confini fra la Polonia e la Bielorussia e lungo la rotta dei Paesi Balcani ci sono bambini che muoiono di fame e di freddo. I loro volti sono già invecchiati dal freddo. Le rughe, gli occhi chiusi e i pochi capelli, sono i segni della violenza del freddo e della fame. La loro casa è il buio gelato. La loro stanza dei sogni è il bosco popolato da ombre spaventose che interrogano il freddo della notte, che dura e non finisce mai. Sono bambini, tutti nati per pagare il conto di una guerra di cui non hanno nessuna responsabilità e neppure hanno scelto di vivere.

Mi chiedo: quale può essere l’orizzonte affettivo di un bambino a cui è stato negato di vivere e sognare, di giocare e studiare, di amare ed essere rispettato, di avere una mamma, sentire la sua voce e imparare da lei le parole per vivere. Dopo l’inferno dei bambini abbandonati, senza avere avuto un destino, quale sarà la società del futuro se nelle vene
della storia scorre odio?

Continua ad avere senso, la festa del Natale, di una civiltà senza cuore? Sono tutte domande che rientrano nell’interesse del teatro, dove la grammatica della creatività può rispondere e può anche indicare una strada: cancellare la vergogna di chiudere gli occhi per non vedere il
dolore dell’altro perché è lontano, oltre la nostra frontiera.

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LABPERM /Domenico Castaldo

LE PECORE DELLA LUNA

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TRA RITO E PERFORMANCE: catarsi e trance

immagine di copertina Nel teatro l’albero <br> di Eugenio Barba

Nel teatro l’albero
di Eugenio Barba

Critica
di Gigi Mangia

Teatro Koreja e l’Odin Teatret di Eugenio Barba, condividono l’organizzazione del fare e vivere il teatro, di studiare, di lavorare e fare ricerca, di stare nella storia e non chiudere mai le porte del teatro alla società. Eugenio Barba è un maestro, una forza di sperimentazione nel teatro, un’intelligenza profonda e consapevole dei conflitti, compreso quello della guerra fra Ebrei e Musulmani.

L’albero, nel suo frutto, segna il passaggio dall’utopia all’anarchia. Un messaggio, questo, politico di un intellettuale di 85 anni che vale più di una speranza, ha la forza di un testamento. Eugenio Barba, nel suo lavoro, non cerca le ragioni della guerra ebraico-musulmana, ma le radici della divisione delle due fedi e il fallimento di Dio nelle rispettive fedi.

Il maestro dell’Odin Teatret, rifiuta la puzza della menzogna per liberarsi del male del potere della religione come conflitto e spargimento di sangue. La strada è quella dell’albero. L’albero indica il passato e il futuro. In esso vive la tradizione e la continuità del tempo.

L’albero, infatti, ha le radici nella terra, vive della luce e cresce con l’acqua e l’aria. L’albero unisce il buio e la luce, il giorno con la notte. gli uccelli abitano il cielo e l’albero è la loro casa senza mura ed è lo spazio libero dove scoprire e vivere l’assoluta libertà.

L’albero non secca, la terra non fa mancare il suo nutrimento al frutto per permettergli il passaggio: dall’utopia all’anarchia, dove l’uomo non ha più bisogno di combattere per difendere la fede, perché si è liberato del bisogno di avere un Dio. Il teatro di Eugenio Barba è quello del pensiero libero, dove l’arte della creatività disegna il futuro dell’uomo libero nella Legge.

Dovevo queste righe di riflessione a Eugenio Barba. Lo avevo promesso giovedì, quando ho potuto apprezzare e seguire il suo capolavoro.

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immagine di copertina Adelina Sejdini, una donna morta suicida

Adelina Sejdini, una donna morta suicida

Visioni
di Gigi Mangia

La morte di Adelina, di una donna che lottò con tutte le sue forze contro la tratta della prostituzione, riempie per un giorno, le pagine di cronaca dei giornali. Poi finisce, senza lasciare un segno. Leggiamo e studiamo le lotte delle donne, ma poi non sappiamo dare risposta alle loro domande.

Adelina non aveva nemmeno 15 anni, quando fu presa da Durazzo e fu costretta, dalla criminalità albanese, a prostituirsi in Italia. Lottò con tutte le sue forze per difendere donne come lei e fece arrestare tanti criminali del sesso. Adelina amava l’Albania, ma il suo sogno era quello di diventare una cittadina italiana. Sabato 6 novembre, Adelina ha contestato l’inspiegabile comportamento di chiusura, nei suoi confronti, della burocrazia verso la sua domanda, con un gesto pubblico ma molto chiaro, dandosi fuoco davanti al Ministero degli Interni. Gravemente ustionata è stata ricoverata all’Ospedale Santo Spirito di Roma. Il gesto di Adelina manifesta la disperazione di un dramma incompreso, di una donna sola, disperata, malata di cancro, nel vuoto sociale, che chiedeva di essere cittadina italiana. Invece di capire ed ascoltare le è stato consegnato il foglio di via. Adelina Sejdini ha
firmato le sue dimissioni dall’ospedale e poi si è allontanata, ha raggiunto il Ponte Garibaldi sul Tevere, da dove si è lanciata nel vuoto, per scrivere la fine della sua vita. Adelina ha trovato la sua libertà dal dolore e l’accoglienza nella morte, che non rifiuta mai di accogliere i disperati e gli scarti della società. Gli “ultimi” che non trovano accoglienza nella politica. Adelina ha lottato per più di 20 anni, per liberare donne come lei dalla prostituzione. Ha collaborato con la polizia, senza vedere mai riconosciuto il suo impegno. Senza ottenere mai la cittadinanza italiana, che era il suo sogno.

La storia del sacrificio di Adelina orienta il faro sugli egoismi di una società che crede di essere civile, senza essere capace però, di riconoscere il valore delle persone.

Per tenere lontane le persone scomode, costruiamo muri, inventiamo malattie. Leggiamo le pagine di Freud per spiegare la pulsione sessuale maschile come bisogno di possesso, di dominio del corpo della donna.
Interpretiamo la prostituzione come un comportamento naturale spinto
dall’impulso di Thanatos, l’energia dell’inconscio che anima il comportamento maschile.

Il mercato del corpo della donna, il sesso a pagamento, sono la storia vecchia che il potere non vuole cambiare ed oggi è in preoccupante aumento. Adelina è morta perché noi non abbiamo avuto gli occhi per vedere, le orecchie per sentire, le mani per toccare.

Il 25 Novembre, per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, scriviamo sulle porte dell’universo femminile: “tolleranza zero, senza se e senza ma, ai criminali del traffico del corpo delle donne e lo sfruttamento della prostituzione” e affermiamo con voce
convinta e sincera “mai, mai, mai più violenza sulle donne”.

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immagine di copertina L’inferno nella foresta ad est della Polonia

L’inferno nella foresta ad est della Polonia

Visioni
di Gigi Mangia

Nella foresta, ad est della Polonia, ci sono immigrati che cercano di entrare in Europa sfidando difficoltà insormontabili, vivono in condizioni inumane, costretti ad affrontare temperature molto rigide di 8 gradi sotto lo zero, senza coperte, senza a acqua e pane. Le donne e i bambini vivono nell’inferno gelato, morendo nel silenzio ghiacciato. Fra la Polonia e la Bielorussia, c’è un filo spinato che separa due linguaggi in lotta fra di loro. Ci sono i corpi dei bambini a piedi nudi nella terra ghiacciata, ci sono le donne che cercano di proteggerli con il calore dei loro corpi stringendoli al petto. Ci sono profughi padri, che cercano di tagliare il filo spinato per entrare in Europa, dove trovare accoglienza. Dall’altra parte del filo, ci sono i militari polacchi armati per respingere i disperati, per difendere i confini, per mandare indietro gli irregolari senza permesso di soggiorno.

Il filo spinato separa il linguaggio dei disperati da quello degli Stati europei contrari all’accoglienza. È una guerra, la chiamano “ibrida”, ma invece è una guerra vera e crudele. Per respingere cinquemila disperati, ci sono quindicimila soldati autorizzati dal Governo polacco a usare gas lacrimogeni e a sparare, con i cannoni, acqua congelata contro donne e bambini nudi e disarmati. La guerra contro i disperati è una guerra più dura e violenta rispetto a quella normale perché è un crimine contro l’umanità, fatta nel disprezzo del diverso. Contro questa guerra, che nessuno vuol vedere, non c’è la vecchia Europa, la quale ha perso le radici cristiane, non ha più Dio, e ha dimenticato anche i vangeli. È l’Europa malata e respira il sociale avvelenato perché nelle vene degli Stati scorre la paura del diverso e invade le nostre città, dove porta violenza e malattia secondo i benpensanti. L’Europa delle frontiere, che chiude gli occhi per non vedere e per essere facilitata a girare le spalle agli immigrati al confine.

È quell’Europa in cui l’uomo è diventato incapace di essere umano e di negare il pensiero del filosofo Nietzsche nell’opera “Così parlò Zarathustra” e anche di cancellare le pagine di Alessandro Leogrande, scomparso quattro anni fa. Senza memoria non c’è futuro, senza conoscenza non ci può essere progresso sociale e non si può vivere neanche la cultura della convivialità delle differenze, insegnata dal grande sacerdote e profeta Don Tonino Bello.

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immagine di copertina Contrario all’abolizione del compito scritto di italiano a scuola

Contrario all’abolizione del compito scritto di italiano a scuola

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di Gigi Mangia

Avere e seguire con intelligenza il tempo del cambiamento della scuola, è un compito serio e responsabile. La scuola del Terzo Millennio, dei “nati digitali”, non è quella che sostituisce la “biro” con il tablet, perché è molto più complessa. Bisogna disegnare gli spazi, a partire dalle classi, aperti ed ispirati alla pedagogia laboratoriale, dell’insegnare a fare, del lasciare fare, progettare per fare, scrivere e relazionare. La scuola ha il ruolo di cucire lo strappo sociale causato dalla pandemia, educando gli scolari a prepararsi a quel grande
processo di transizione sostenibile in cui l’obiettivo fondamentale è quello di realizzare una cittadinanza libera, responsabile, sostenibile ed inclusiva. Grande risorsa per il raggiungimento di questo traguardo e per superare anche la piaga della dispersione (che in Italia è di 120mila studenti) l’art. 3 della Costituzione. La scuola del ‘900 per la costituzione è rimasta incompiuta. Tocca a tutti: al teatro, alle biblioteche, ai musei, ai centri sportivi e all’imprese, fare di più e meglio.

La DAD
ha messo in evidenza i limiti e le difficoltà dello studio, impedendo una
corretta formazione, e limitando l’acquisizione delle competenze. La DAD, per gli studenti, si è ridotta ad essere meno studio, meno compiti, meno ricerca ed isolamento sociale. Ora, c’è chi pensa, fra gli intellettuali, di abolire il compito scritto per superare la crisi degli studenti e facilitare gli studi. Il populismo è stato il grande male della democrazia. In Parlamento siede ancora chi sostiene che il Ministro dell’economia lo può fare una brava casalinga e il Ministro dell’Università e dell’Istruzione l’insegnante di sostegno. Per fare
la “nuova scuola” serve più studio, più tempo a scuola, più responsabilità, più compiti e meno lamentele da parte delle famiglie per avere meno compiti.

Il compito scritto è una prova di verifica fatta a conclusione dello studio di una “tassonomia” programmata nelle diverse discipline e modulata su obiettivi cognitivi e formativi. Il compito scritto serve, quindi, sia per verificare i risultati, sia per l’autovalutazione dello studente, personale ed intellettuale. Il compito scritto quindi, serve molto allo studente e poco al docente. Sono assolutamente contrario all’abolizione del compito scritto a scuola. La scuola serve per verificare giorno dopo giorno, la formazione socioaffettiva e cognitiva dello studente e viene certificata da prove.

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