Il naufragio nel mare di Cutro
Visioni
di Gigi Mangia
Se il mare perde gli aggettivi dei poeti, il naufragio non è più quello dolce del poeta Giacomo Leopardi,
“Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.”
Ma estremo, di morte, quella di annegare in mare, la più dura, la più lunga di dolore. Per i disperati anche l’azzurro è negato, per loro la notte è dolore buio disperato.
“Torno… e una sera il mondo è nuovo,
una sera in cui non accade nulla – solo,
corro in macchina – e guardo in fondo
all’azzurro le case del Prenestino –
le guardo, non me ne accorgo, e invece,
quest’immagine di case popolari
dentro l’azzurro della sera, deve
restarmi come un’immagine del mondo (versi di Pierpaolo Pasolini).
Il mare sulla spiaggia di Cutro ha restituito: scarpe, abiti, giocattoli di bambini annegati. Sono immagini del nostro dolore perché li abbiamo lasciati soli, non li abbiamo soccorsi, perciò la morte è arrivata fino prima di noi, perché noi non abbiamo rispettato la legge del mare. Dalla barca, distrutta dal mare, sono stati recuperati due assi di legno ed è stata realizzata una croce, per fare una via crucis in mare. Cristo e la Croce sono valori vivi della cultura cristiana dei popoli che vivono sulle sponde del Mediterraneo. Il diritto ad emigrare, a scappare dalla fame, dalla carestia, dalle minacce di morte, è antico e ed è stato esercitato da Giuseppe e Maria quando scapparono dall’Egitto per mettere in salvo, dalla minaccia di morte di Erode il figlio Gesù. Fra i morti annegati c’erano tante donne in fuga che avevano visto uccidere i loro mariti e i loro figli. Donne che hanno visto uccidere ed avvelenare le loro figlie per essersi rifiutate di indossare il velo o per aver scioperato per rivendicare il diritto di andare a scuola. Erano uomini e donne che scappavano dalla fame e dalla guerra per trovare un mondo migliore, per dare un futuro ai loro figli.
Le parole: “donna, vita, libertà” scorrono nelle vene della storia e rendono inarrestabile la lotta del cambiamento dei rapporti sociali senza le barriere della religione e del patriarcato. Servono parole nuove per costruire e raccontare il paesaggio umano e sociale che dobbiamo sentire dentro di noi con il desiderio di cambiare, di non essere indifferenti perché “la rivoluzione non è che un sentimento”. Pierpaolo Pasolini versi in Alba in forma di rosa, Garzanti 1961 – 64 Milano.