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January 2022

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina La memoria aiuta il respiro delle parole

La memoria aiuta il respiro delle parole

Visioni
di Gigi Mangia

Il 27 gennaio, ricorre la Giornata della Memoria, voluta da un padre dell’Europa, quale fu Carlo Azelio Ciampi. È una giornata rivolta ai giovani per non dimenticare, ma anche per crescere nello studio e avere la conoscenza della Storia. La memoria vive e conserva la storia. Il respiro delle parole apre la mente alla visione dei luoghi e dei volti.

Le parole hanno la forza di far vedere i segni distruttivi della guerra sulle città. Sono la voce della violenza degli esclusi e dei mutilati. Le parole raccontano i segni delle torture dei corpi disperati nei lager.

Le parole sono il dolore muto dei bambini in cammino a piedi nudi nel ghiaccio del freddo inverno.

Le parole sono anche la storia di chi muore in mare senza lasciare un segno.

Ancora le parole raccontano i corpi dei prigionieri ebrei finiti in cenere nelle camere a gas naziste.

Il respiro delle parole serve per conoscere e sentire la storia e quindi per avere la capacità di partecipare e non voltare le spalle all’evidenza del dolore e della perdita dei valori civili.

Senza memoria la mente finisce nel buio e l’uomo perde la capacità di ascoltare. Ascoltare le parole aiuta a fare il cammino con gli altri verso un futuro senza la paura del diverso e il pregiudizio della pelle.

Carlo Azelio Ciampi credeva ad un’Europa unita. Per rendere possibile il suo sogno, spese tutte le sue forze.

Il presidente Ciampi capì che, per raggiungere l’unità politica, l’Europa dei popoli doveva fare i conti con la storia del secolo “breve” e con le ferite dei morti delle due Guerre Mondiali.

Per fare la nuova Europa per Carlo Azelio Ciampi bisognava avere la memoria del passato e soprattutto saper respirare le parole della storia.

La storia non si cancella.

Così nei versi giovanili il poeta Carmelo Bene:

“no, non stupirti

delle pagine audaci

che mente umana ha scritto.

Sono ruderi. Al loro posto

un tempio sorgerà.”

Carmelo Bene, Poesie Giovanili, Adriatica Editrice Salentina, Lecce 2009.

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17 mag

Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

23, 24 mag

FORTY!

immagine di copertina La variante Omicron mette a dura prova la genitorialità e la scuola già in grandi difficoltà

La variante Omicron mette a dura prova la genitorialità e la scuola già in grandi difficoltà

Visioni
di Gigi Mangia

Il Governo di Mario Draghi, al suo insediamento di un anno fa, aveva scommesso di tenere la scuola aperta e la didattica in presenza. Per la scuola il Governo ha fatto molto, investendo soldi e riconoscendo centrale e strategica, la formazione dei giovani. La lotta contro la pandemia del Coronavirus si è complicata, è diventata più difficile
con le varianti, soprattutto con Omicron il cui contagio interessa i
preadolescenti, compresi i bambini. La comunicazione degli esperti e delle agenzie non è stata chiara ma ondivaga e contradittoria. Così: “il Coronavirus non è una minaccia per la salute. Gli aerei “CDC” richiedono la quarantena per i viaggiatori internazionali. Non toccate le superfici, non avete bisogno della mascherina, al contrario dovete metterla. Le superfici sono rischiose evitate di toccarle”. L’ultimo decreto del Governo del 5 gennaio, non ancora pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, con le diverse modalità delle quarantene dalla scuola dell’infanzia alla superiore di secondo grado, ha ulteriormente aumentato la confusione coinvolgendo le famiglie, le quali si trovano nel disordine più
completo.

Ora non ci deve sorprendere se le persone sono disorientate su come affrontare il problema e avere fiducia nella scienza e quindi nel vaccino. Bisogna superare la paura e avere fiducia nella scienza. Un genitore per vaccinare il figlio deve credere, deve essere certo di decidere per il bene e per la salute del proprio bambino; deve essere
aiutato a superare il trauma della puntura del proprio figlio, infine deve essere portato a credere che solo il vaccino può superare e favorire una crescita sana e regolare per il figlio. Il genitore deve essere guidato a portare fuori e lontano dalla paura del virus il figlio, curando e promuovendo relazioni sociali come il gioco, la vita di comunità, la partecipazione alle attività culturali. L’isolamento oltre ad essere una malattia, è anche la causa della perdita di autostima, fondamentale per superare la paura di non farcela. Essere genitore oggi è davvero impegnativo, perché si è chiamati ad avere un ruolo inedito nell’educazione e nella crescita sociale ed intellettuale del figlio causato dalla pandemia, la quale ha cambiato le regole di come abitare
lo spazio e vivere il tempo. Per superare la crisi, bisogna credere e avere fiducia nella e per la scuola, in particolare, mantenere la didattica in presenza perché il sapere, il conoscere e il fare, sono tutti verbi di comunità. La scuola è il tempo della vita in cui non si è mai soli, ma si vive sempre di relazioni scambiando sentimenti, gesti e parole. La scuola è la casa dove l’essere da bambino diventa uomo: essere sociale.

Un felice ritorno a scuola e un buon inizio di anno scolastico 2022.

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17 mag

Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

23, 24 mag

FORTY!

immagine di copertina Evitare il rischio di uccidere  due volte il nostro mare

Evitare il rischio di uccidere due volte il nostro mare

Visioni
di Gigi Mangia

Sostenere la conoscenza, tenere gli occhi attenti e la mente aperta. La Terra, il clima, la natura, la nostra vita dipendono dal mare. Ne abbiamo abusato e siamo stati incapaci di rispettarlo. Abbiamo costruito dove non dovevamo farlo. Nella nostra incoscienza abbiamo buttato nelle sue acque rifiuti di ogni genere e i fondali, sono oggi discariche che non si vedono e sono la morte del mare.

È la plastica ad essere la causa principale sia della morte del mare che della morte dei pesci. L’aumento della temperatura dell’acqua, la plastica e rifiuti industriali, hanno causato la prima morte del mare. Ora c’è un secondo pericolo, una seconda morte per il mare: costruirvi grandi impianti industriali di pale eoliche alte 250 metri, come si vuole fare nel basso Adriatico, tra Otranto e Santa Maria di Leuca.

La costa Otranto-Leuca è la più bella d’Italia e il suo paesaggio è fra i più belli dell’intero Mediterraneo in Europa. Il danno delle grandi pale, non è solo lo sfregio al paesaggio, ma è anche un danno gravissimo alla salute del mare nel canale d’Otranto fra Italia e Albania. Lì, grazie alle acque non ancora inquinate, vivono meravigliosi delfini, la cui presenza è incompatibile alle pale eoliche piantate nella profondità
del fondale. La presenza dei delfini non è solo la resistenza della bellezza, ma è anche la felicità unica di poter fare il bagno con loro. I delfini sono il termometro della vita del mare, misurano infatti, la salute delle sue acque. La scelta è scellerata per il mare, dannosa e distruttiva per l’economia turistica dell’intera Puglia.

Il mare è stato trascurato e sacrificato. La legge dei parchi marini è stata disattesa, stabiliva infatti la costruzione del 30% di parchi per tutelare le coste e le acque. Ad oggi invece,i parchi marini sono inferiori al 7% e siamo il Paese del turismo culturale del mare.

Mi chiedo se la transizione energetica delle fonti rinnovabili debba essere sempre pagata dal sud e, in particolare, dalla Puglia. Chi deve indagare sulle conseguenze di un impianto industriale in mare, come quello eolico, che nascerebbe davanti alla città d’Otranto e a Porto Badisco, sbarco di Enea? Gli scienziati non hanno il dovere, forse, di rispettare le risorse e la vocazione del territorio? Il PNRR prevede davvero la distruzione del paesaggio del mare salentino e della Puglia o è, forse, ancora causa della debolezza e dell’incapacità della nostra classe dirigente inadeguata alla grande sfida della transizione ecologica? La conoscenza non deve avere sempre occhi attenti e mente aperta per vedere il futuro?

Bisogna lottare unirsi ai sindaci per non uccidere due volte il nostro mare e per non perdere il piacere di vedere sorgere al primo mattino la luce rosa d’Oriente:

“La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un’ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.”

Versi della poesia “Il Mattino” di Cesare Pavese.

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17 mag

Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

23, 24 mag

FORTY!

immagine di copertina Una civiltà senza cuore

Una civiltà senza cuore

Visioni
di Gigi Mangia

Mi chiedo: quale Natale può vivere un bambino innocente e senza colpa in una civiltà senza cuore, che chiude gli occhi per non vedere e gira le spalle per disinteressarsi della sua vita crudele di indifferente abbandono?

Sul Corriere della Sera del 29/11, Lorenzo Cremonese, nel suo servizio in Afghanistan, scrive “nel Paese dei talebani, all’estremo dell’economia, ci sono almeno un milione di bambini che rischiano di morire di fame. Ci sono genitori incapaci di dare cibo ai loro figli e vendono quindi, i bambini per 500 dollari, mentre le bambine sono vendute a 1500 dollari, destinate ad essere spose in tenerissima età”.

Ai confini fra la Polonia e la Bielorussia e lungo la rotta dei Paesi Balcani ci sono bambini che muoiono di fame e di freddo. I loro volti sono già invecchiati dal freddo. Le rughe, gli occhi chiusi e i pochi capelli, sono i segni della violenza del freddo e della fame. La loro casa è il buio gelato. La loro stanza dei sogni è il bosco popolato da ombre spaventose che interrogano il freddo della notte, che dura e non finisce mai. Sono bambini, tutti nati per pagare il conto di una guerra di cui non hanno nessuna responsabilità e neppure hanno scelto di vivere.

Mi chiedo: quale può essere l’orizzonte affettivo di un bambino a cui è stato negato di vivere e sognare, di giocare e studiare, di amare ed essere rispettato, di avere una mamma, sentire la sua voce e imparare da lei le parole per vivere. Dopo l’inferno dei bambini abbandonati, senza avere avuto un destino, quale sarà la società del futuro se nelle vene
della storia scorre odio?

Continua ad avere senso, la festa del Natale, di una civiltà senza cuore? Sono tutte domande che rientrano nell’interesse del teatro, dove la grammatica della creatività può rispondere e può anche indicare una strada: cancellare la vergogna di chiudere gli occhi per non vedere il
dolore dell’altro perché è lontano, oltre la nostra frontiera.

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Fabrizio Gifuni

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23, 24 mag

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immagine di copertina Nel teatro l’albero <br> di Eugenio Barba

Nel teatro l’albero
di Eugenio Barba

Critica
di Gigi Mangia

Teatro Koreja e l’Odin Teatret di Eugenio Barba, condividono l’organizzazione del fare e vivere il teatro, di studiare, di lavorare e fare ricerca, di stare nella storia e non chiudere mai le porte del teatro alla società. Eugenio Barba è un maestro, una forza di sperimentazione nel teatro, un’intelligenza profonda e consapevole dei conflitti, compreso quello della guerra fra Ebrei e Musulmani.

L’albero, nel suo frutto, segna il passaggio dall’utopia all’anarchia. Un messaggio, questo, politico di un intellettuale di 85 anni che vale più di una speranza, ha la forza di un testamento. Eugenio Barba, nel suo lavoro, non cerca le ragioni della guerra ebraico-musulmana, ma le radici della divisione delle due fedi e il fallimento di Dio nelle rispettive fedi.

Il maestro dell’Odin Teatret, rifiuta la puzza della menzogna per liberarsi del male del potere della religione come conflitto e spargimento di sangue. La strada è quella dell’albero. L’albero indica il passato e il futuro. In esso vive la tradizione e la continuità del tempo.

L’albero, infatti, ha le radici nella terra, vive della luce e cresce con l’acqua e l’aria. L’albero unisce il buio e la luce, il giorno con la notte. gli uccelli abitano il cielo e l’albero è la loro casa senza mura ed è lo spazio libero dove scoprire e vivere l’assoluta libertà.

L’albero non secca, la terra non fa mancare il suo nutrimento al frutto per permettergli il passaggio: dall’utopia all’anarchia, dove l’uomo non ha più bisogno di combattere per difendere la fede, perché si è liberato del bisogno di avere un Dio. Il teatro di Eugenio Barba è quello del pensiero libero, dove l’arte della creatività disegna il futuro dell’uomo libero nella Legge.

Dovevo queste righe di riflessione a Eugenio Barba. Lo avevo promesso giovedì, quando ho potuto apprezzare e seguire il suo capolavoro.

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17 mag

Fabrizio Gifuni

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23, 24 mag

FORTY!

immagine di copertina Adelina Sejdini, una donna morta suicida

Adelina Sejdini, una donna morta suicida

Visioni
di Gigi Mangia

La morte di Adelina, di una donna che lottò con tutte le sue forze contro la tratta della prostituzione, riempie per un giorno, le pagine di cronaca dei giornali. Poi finisce, senza lasciare un segno. Leggiamo e studiamo le lotte delle donne, ma poi non sappiamo dare risposta alle loro domande.

Adelina non aveva nemmeno 15 anni, quando fu presa da Durazzo e fu costretta, dalla criminalità albanese, a prostituirsi in Italia. Lottò con tutte le sue forze per difendere donne come lei e fece arrestare tanti criminali del sesso. Adelina amava l’Albania, ma il suo sogno era quello di diventare una cittadina italiana. Sabato 6 novembre, Adelina ha contestato l’inspiegabile comportamento di chiusura, nei suoi confronti, della burocrazia verso la sua domanda, con un gesto pubblico ma molto chiaro, dandosi fuoco davanti al Ministero degli Interni. Gravemente ustionata è stata ricoverata all’Ospedale Santo Spirito di Roma. Il gesto di Adelina manifesta la disperazione di un dramma incompreso, di una donna sola, disperata, malata di cancro, nel vuoto sociale, che chiedeva di essere cittadina italiana. Invece di capire ed ascoltare le è stato consegnato il foglio di via. Adelina Sejdini ha
firmato le sue dimissioni dall’ospedale e poi si è allontanata, ha raggiunto il Ponte Garibaldi sul Tevere, da dove si è lanciata nel vuoto, per scrivere la fine della sua vita. Adelina ha trovato la sua libertà dal dolore e l’accoglienza nella morte, che non rifiuta mai di accogliere i disperati e gli scarti della società. Gli “ultimi” che non trovano accoglienza nella politica. Adelina ha lottato per più di 20 anni, per liberare donne come lei dalla prostituzione. Ha collaborato con la polizia, senza vedere mai riconosciuto il suo impegno. Senza ottenere mai la cittadinanza italiana, che era il suo sogno.

La storia del sacrificio di Adelina orienta il faro sugli egoismi di una società che crede di essere civile, senza essere capace però, di riconoscere il valore delle persone.

Per tenere lontane le persone scomode, costruiamo muri, inventiamo malattie. Leggiamo le pagine di Freud per spiegare la pulsione sessuale maschile come bisogno di possesso, di dominio del corpo della donna.
Interpretiamo la prostituzione come un comportamento naturale spinto
dall’impulso di Thanatos, l’energia dell’inconscio che anima il comportamento maschile.

Il mercato del corpo della donna, il sesso a pagamento, sono la storia vecchia che il potere non vuole cambiare ed oggi è in preoccupante aumento. Adelina è morta perché noi non abbiamo avuto gli occhi per vedere, le orecchie per sentire, le mani per toccare.

Il 25 Novembre, per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, scriviamo sulle porte dell’universo femminile: “tolleranza zero, senza se e senza ma, ai criminali del traffico del corpo delle donne e lo sfruttamento della prostituzione” e affermiamo con voce
convinta e sincera “mai, mai, mai più violenza sulle donne”.

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17 mag

Fabrizio Gifuni

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23, 24 mag

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immagine di copertina L’inferno nella foresta ad est della Polonia

L’inferno nella foresta ad est della Polonia

Visioni
di Gigi Mangia

Nella foresta, ad est della Polonia, ci sono immigrati che cercano di entrare in Europa sfidando difficoltà insormontabili, vivono in condizioni inumane, costretti ad affrontare temperature molto rigide di 8 gradi sotto lo zero, senza coperte, senza a acqua e pane. Le donne e i bambini vivono nell’inferno gelato, morendo nel silenzio ghiacciato. Fra la Polonia e la Bielorussia, c’è un filo spinato che separa due linguaggi in lotta fra di loro. Ci sono i corpi dei bambini a piedi nudi nella terra ghiacciata, ci sono le donne che cercano di proteggerli con il calore dei loro corpi stringendoli al petto. Ci sono profughi padri, che cercano di tagliare il filo spinato per entrare in Europa, dove trovare accoglienza. Dall’altra parte del filo, ci sono i militari polacchi armati per respingere i disperati, per difendere i confini, per mandare indietro gli irregolari senza permesso di soggiorno.

Il filo spinato separa il linguaggio dei disperati da quello degli Stati europei contrari all’accoglienza. È una guerra, la chiamano “ibrida”, ma invece è una guerra vera e crudele. Per respingere cinquemila disperati, ci sono quindicimila soldati autorizzati dal Governo polacco a usare gas lacrimogeni e a sparare, con i cannoni, acqua congelata contro donne e bambini nudi e disarmati. La guerra contro i disperati è una guerra più dura e violenta rispetto a quella normale perché è un crimine contro l’umanità, fatta nel disprezzo del diverso. Contro questa guerra, che nessuno vuol vedere, non c’è la vecchia Europa, la quale ha perso le radici cristiane, non ha più Dio, e ha dimenticato anche i vangeli. È l’Europa malata e respira il sociale avvelenato perché nelle vene degli Stati scorre la paura del diverso e invade le nostre città, dove porta violenza e malattia secondo i benpensanti. L’Europa delle frontiere, che chiude gli occhi per non vedere e per essere facilitata a girare le spalle agli immigrati al confine.

È quell’Europa in cui l’uomo è diventato incapace di essere umano e di negare il pensiero del filosofo Nietzsche nell’opera “Così parlò Zarathustra” e anche di cancellare le pagine di Alessandro Leogrande, scomparso quattro anni fa. Senza memoria non c’è futuro, senza conoscenza non ci può essere progresso sociale e non si può vivere neanche la cultura della convivialità delle differenze, insegnata dal grande sacerdote e profeta Don Tonino Bello.

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immagine di copertina Contrario all’abolizione del compito scritto di italiano a scuola

Contrario all’abolizione del compito scritto di italiano a scuola

Visioni
di Gigi Mangia

Avere e seguire con intelligenza il tempo del cambiamento della scuola, è un compito serio e responsabile. La scuola del Terzo Millennio, dei “nati digitali”, non è quella che sostituisce la “biro” con il tablet, perché è molto più complessa. Bisogna disegnare gli spazi, a partire dalle classi, aperti ed ispirati alla pedagogia laboratoriale, dell’insegnare a fare, del lasciare fare, progettare per fare, scrivere e relazionare. La scuola ha il ruolo di cucire lo strappo sociale causato dalla pandemia, educando gli scolari a prepararsi a quel grande
processo di transizione sostenibile in cui l’obiettivo fondamentale è quello di realizzare una cittadinanza libera, responsabile, sostenibile ed inclusiva. Grande risorsa per il raggiungimento di questo traguardo e per superare anche la piaga della dispersione (che in Italia è di 120mila studenti) l’art. 3 della Costituzione. La scuola del ‘900 per la costituzione è rimasta incompiuta. Tocca a tutti: al teatro, alle biblioteche, ai musei, ai centri sportivi e all’imprese, fare di più e meglio.

La DAD
ha messo in evidenza i limiti e le difficoltà dello studio, impedendo una
corretta formazione, e limitando l’acquisizione delle competenze. La DAD, per gli studenti, si è ridotta ad essere meno studio, meno compiti, meno ricerca ed isolamento sociale. Ora, c’è chi pensa, fra gli intellettuali, di abolire il compito scritto per superare la crisi degli studenti e facilitare gli studi. Il populismo è stato il grande male della democrazia. In Parlamento siede ancora chi sostiene che il Ministro dell’economia lo può fare una brava casalinga e il Ministro dell’Università e dell’Istruzione l’insegnante di sostegno. Per fare
la “nuova scuola” serve più studio, più tempo a scuola, più responsabilità, più compiti e meno lamentele da parte delle famiglie per avere meno compiti.

Il compito scritto è una prova di verifica fatta a conclusione dello studio di una “tassonomia” programmata nelle diverse discipline e modulata su obiettivi cognitivi e formativi. Il compito scritto serve, quindi, sia per verificare i risultati, sia per l’autovalutazione dello studente, personale ed intellettuale. Il compito scritto quindi, serve molto allo studente e poco al docente. Sono assolutamente contrario all’abolizione del compito scritto a scuola. La scuola serve per verificare giorno dopo giorno, la formazione socioaffettiva e cognitiva dello studente e viene certificata da prove.

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