Calendario

September 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Non sparate più

Non sparate più

Visioni
di Gigi Mangia

Il meridione d’Italia è stato divorato dal fuoco fra luglio e agosto del 2021. Sono andati in fiamme migliaia di ettari, di boschi, pinete e macchia mediterranea. Il paesaggio ha subito gravissime perdite e ci vorranno anni per recuperare. Il territorio è stato ferito dalla mafia, dalla criminalità e dalla speculazione, se solo il 2% degli incendi è avvenuto per cause naturali. È mancata la prevenzione ed è stata carente la lotta nello spegnimento dei grandi incendi. Perdendo 60 milioni di ulivi a causa della Xylella fastidiosa finiti in tronchi di carbone, il Salento ha perso la sua identità e la sua bellezza. Da parco a cielo aperto si è trasformato nel cimitero dei giganti vegetali ridotti in fantasmi bruni e ha perso il verbo della narrazione della terra benedetta dal mare. Anche il mare subisce la violenza della civiltà incapace di rispettare la natura. La grave crisi del clima, il conseguente aumento della temperatura hanno causato la perdita del 30% della Posidonia del fondo marino e il mare ha perso la bellezza dei colori delle sue acque. È diventato acido, malato. La terra, senza gli alberi, è indifesa dal sole, che la brucia e non perdona. La nostra è una condizione estrema di pericolo per l’uomo e per tutta la natura, compresi gli animali. Mi chiedo se può avere ancora un senso la caccia o se invece sarebbe necessaria la sua sospensione, prevista anche dalla legge n. 152 quando ci sono condizioni gravi di crisi ambientali come quella dei nostri giorni. Se i cacciatori amano e rispettano la natura, dovrebbero rinunciare a cacciare i pochi uccelli che ancora sono presenti nelle nostre campagne.

Oggi sparare, colpire gli uccelli, vuol dire uccidere il futuro della terra, che invece ci chiede aiuto, responsabilità e rifiuta la violenza. Rinunciate al fucile e, invece di sparare, leggete i poeti per imparare a vivere in armonia con la natura.

Come suggerisce Mariangela Gualtieri nella poesia 9 marzo del 2020, avremmo dovuto fermarci prima, ma non l’abbiamo fatto. Oggi le condizioni estreme, le temperature a 49° mai registrate prima nel Mediterraneo, ci dicono che dobbiamo avere il coraggio di farlo.

LA POESIA: https://www.doppiozero.com/materiali/nove-marzo-duemilaventi?fbclid=IwAR2Df2jnln_WFj_9kpVX-2ZEFZfAgYtol–L13XhdrBmB5wRzVWSWm4dhRg

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17 mag

Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

23, 24 mag

FORTY!

immagine di copertina In cenere i luoghi dei poeti

In cenere i luoghi dei poeti

Visioni
di Gigi Mangia

Finisce in cenere il paesaggio del mediterraneo e finiscono in cenere i luoghi dei poeti. A Pescara il fuoco divora la pineta di Gabriele D’Annunzio, nel Salento gli ulivi del poeta Girolamo Comi. La violenza del fuoco distrugge il paesaggio di Vincenzo Ciardo e la campagna diventa un teatro di fantasmi, di tronchi carbone. Va in fiamme “Zante” la famosa Zacinto del poeta Ugo Foscolo e le fiamme distruggono Olimpia, la città degli dèi e la città dei filosofi Atene.

Quasi tutti gli incendi hanno dietro il vento del dolo. A causa della mancata prevenzione e del non sufficiente impegno della politica, agiscono indisturbati i criminali e la mafia. Prevalgono gli interessi della speculazione, a cui si aggiunge il cambiamento climatico; le alte temperature ne certificano la gravità e, quindi, la necessità di un cambiamento radicale dl comportamento dell’uomo. Brucia il Mediterraneo, avanza la desertificazione della terra.

L’aumento della temperatura porterà a vivere condizioni di vita tropicali nelle città benedette dal Mar Mediterraneo. Non è solo un cambiamento del paesaggio urbano e umano, ma è più ancora una perdita dei valori culturali e sociali, in particolare per il teatro dei luoghi in cui la cultura del vivere fuori è fatta per sentire il piacere della natura.

Non servono più le lacrime, ora è il tempo di cambiare e siamo in ritardo. Dovevamo fermarci prima e non lo abbiamo fatto.

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17 mag

Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

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immagine di copertina Diventa odio l’amore, quando a nutrirlo è il suo peccato.

Diventa odio l’amore, quando a nutrirlo è il suo peccato.

Critica
di Annarita Risola

In questa calda sera d’estate del 9 Luglio 2021, l’ortale del Teatro Koreja, ospita “Casalabate1492”. In scena Carlo Durante e Fernando Blasi, noto ai più come Nandu Popu, il cantante dei Sud Sound System; la regia è di Salvatore Tramacere. Gli attori camminano lentamente sul proscenio, l’uno alla destra, l’altro alla sinistra, accompagnati dal canto liturgico dell’Ave Maria e dal suono di un organo, fino a giungere alla ribalta.  E mentre le preghiere in latino fanno da bordone, iniziano i loro racconti di bambini. Quello seduto sul cavalluccio rosso legge storie tratte da “La crociata dei bambini” di Marcel Schwob, parla di “fanciulli selvatici e ignoranti”, mentre l’altro ha in mano una canna da pesca e i fanciulli di cui parla, sono figli di un abate e una badessa. La loro era una storia d’amore è come tante altre, ma a differenza delle altre, è proibita. La casa dell’abate, Casalabate appunto, è il luogo dei loro incontri segreti, ma anche di paludi e di malaria.

Negli anni’70 si bonificò la zona, dando il via a quello scriteriato e spasmodico abusivismo edilizio che avrebbe invaso la costa. Popu indossa gli occhiali da bravo narratore e di tanto in tanto col dito segue le parole, come se la chironomia potesse sottolinearle. “Nutrito dai pensieri…” In quel viaggio a ritroso nel tempo, riaffiorano i ricordi e rivede quei quattro “menati” del paese, quelle persone scartate, emarginate dalla società, che improvvisamente diventano a tutti gli effetti malavitosi, “malandrini”. Ed ecco ritornare in quei luoghi, in quel bar dove la bella del paese, detta Naomi Campbell, era sempre scortata dai suoi body guard, alla rotonda vicino il mare, dove suonavano la canzone di Fred Bongusto. Bella Casalabate, bella quasi come Venezia, pensava Nandu, bella anche quando ci si riuniva per preparare le conserve di salsa, perché era un modo per stare insieme e fare festa. Le case erano così vicine al mare che diventavano verdi per l’umidità tanto che alla fine, molti villeggianti, decidevano di tinteggiarle dello stesso colore verde, per risparmiare un pò di pittura e di fatica, come il suo amico Angelo detto il “Bue”, che ogni anno incontrava puntualmente, con secchio e pennello. “Ma noi eravamo fortunati”, dice Nandu, “perché potevamo giocare, loro no, dovevano lavorare e ci invidiavano”. Intanto il nodo della corda che tiene stretta la plastica al centro del proscenio, viene piano piano sciolto, rivelando un grosso ippopotamo azzurro (notevole il lavoro eseguito in cartapesta dal maestro Deni Bianco). Ecco… da qui il soprannome di Nandu…Popu, ippopotamo, appunto. Continuano le letture che esaltano la purezza dei bambini. Ma di quella bellezza la badessa e l’abate ne sfruttavano ogni risorsa. Quei figli, nati nel peccato, dovevano pur mangiare. Per farlo dovevano lavorare e come tradizione biblica vuole, coltivavano la vigna e ne vendevano i suoi frutti, in cambio di olio, agli abitanti della non troppo distante Otranto. Nessuno credeva che quelle 18 creature, si dice tutti maschi, fossero i loro figli. Preferivano pensarli figli delle streghe, le cosiddette “striare”. Ma un giorno scapparono e andarono nella vicina Trepuzzi, accolti dai pastori e non fecero mai più ritorno, perché l’odio si nutre del peccato. Gira la giostra e Patty Pravo canta “ragazzo triste”. Sognano ancora i bambini di diventare grandi, Popu avrebbe voluto fare il ciclista-pescatore e osservare il mondo da quello scoglio, ma in compagnia, perché non bisognerebbe mai stare da soli. Poi la giostra si ferma, “stanno arrivando i contrabbandieri” e inizia a raccogliere la lenza. Ecco giunto uno Yacht, pieno di stecche di Philiph Morris, si attende la notte per scaricarle e tutti aiutano a farlo, soprattutto i bambini che con le loro manine riescono ad infilarle dappertutto nella macchina. In cambio, anche loro riceveranno qualche stecca, da regalare agli adulti come un trofeo. Una stecca anche a Sartana, il cantante che Popu da bambino guardava con ammirazione mentre cantava “Marina”. Dormiva in macchina, quella notte, era ubriaco, la moglie lo aveva lasciato. Morì bruciato in quella macchina, divenuta ormai la sua casa. Con questo triste ricordo, si chiude lo spettacolo, una testimonianza di un’epoca non troppo lontana, di una mentalità del sopruso non ancora del tutto sradicata. Un bene continuare a parlarne, far emergere il brutto e trasformarlo in bello e, molto semplicemente, aiutare le nuove generazioni a non commettere gli stessi errori. Popu utilizza la favola e un linguaggio semplice e chiaro, ben consapevole che le parole, anche se non recitate come un attore consumato, riescono a fare breccia, si sedimentano e, seppur lentamente, trasformano le menti. Anche questo è il nobile scopo del teatro, educare attraverso il racconto.

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immagine di copertina Giù la mascher(in)a!

Giù la mascher(in)a!

Visioni
di Gigi Mangia

Per il teatro sta finendo il tempo di comunicare i sentimenti con gli occhi.

Potremo ricominciare a dirci ciao sorridendo.

È il tempo di costruire a piene mani il sociale con la cultura, attraverso la promozione e la partecipazione.

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Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

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immagine di copertina Corpi vuoti

Corpi vuoti

Visioni
di Gigi Mangia

Il 19 giugno è stata la giornata nazionale del rifugiato. Sono 82.500.000 di persone i corpi vuoti senza diritti. Persone in marcia che lottano per avere pane, per avere una casa, per avere lavoro, per avere istruzione. Sono persone nella storia, che non hanno attenzione, ma la storia non può dimenticare e per il teatro sono sempre una storia da raccontare.

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Fabrizio Gifuni

Con il vostro irridente silenzio

23, 24 mag

FORTY!

immagine di copertina C’è un giardino chiaro

C’è un giardino chiaro

Visioni
di Gigi Mangia

Per vincere la pandemia, il Teatro Koreja ha avuto coraggio e non è stato facile. Ci sono stati mesi di lavoro invisibili.  Senza il pubblico il teatro è vuoto, la creatività è congelata, le parole sono assenti e lo sguardo è sospeso. Un solo pensiero ha armato la fiducia di Koreja, quello di resistere e avere coraggio. Il coraggio, infatti, ha cambiato il teatro. L’ortale con i suoi alberi di limone, è uno spazio nuovo per fare teatro all’aperto, sotto il cielo a fasce blu, quando la luna è lontana, assente, nelle notti d’estate. Il teatro fuori è quello dell’aria, dei profumi e dei sapori. È il teatro in cui partecipano le ombre e le orecchie o il naso, fanno più degli occhi. Sentire ed ascoltare è bello, perché vuol dire partecipare, essere coinvolti dal teatro.

Il teatro dei luoghi non è quello degli stucchi e dei velluti rossi, è il teatro che vive della forza profonda del “genio” del paesaggio della terra.

“C’è un giardino chiaro, fra mura basse,

di erba secca e di luce, che cuoce adagio

la sua terra.È una luce che sa di mare.

Tu respiri quell’erba”.

Da Estate di Cesare Pavese

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