La storia
Per fare un teatro,
partire dall’uomo.
Prima c’era una masseria nelle campagne di Aradeo, gli anni Ottanta e tanta voglia di trovare “voce”.
Operare a Sud, la scelta, dove gli occhi s’erano allenati al desiderio, dentro un margine, un confine che “paradossalmente” non aveva Teatro nonostante le “visioni” della tradizione popolare, i modi della festa, le fantasie narrate dalla pietra. Un immaginario che per un lungo periodo non ha avuto scena, riflessione, scrittura drammaturgica. Un Sud dove sentirsi nomadi era essenza d’ogni cercare, d’ogni desiderio di crescere, di confermare nelle pratiche il tentativo. E’ così che il primo nucleo del Teatro Koreja si costituisce ufficialmente nel 1985 ad Aradeo dove la compagnia abita il Castello Tre Masserie con il nome di Koreja, campo d’azione teatrale. Il termine Koreja è una forzatura dal dialetto griko in cui koreya vuol dire “movimento circolare” che a sua volta deriva dal greco antico χορεια. Il termine è inoltre presente in uno degli scritti di Jerzy Grotowski in cui una koreja vuole dire precisamente tre in uno: danza, musica, canto. Sin dagli esordi, la compagnia è diretta da Salvatore Tramacere, attore e regista formatosi accanto a importanti personalità del teatro internazionale come Eugenio Barba, Iben Nagel Rasmussen, Cesar Brie, Silvia Ricciardelli e Pina Bausch.
Il primo gruppo, operativo dal 1983 al 1998, promuove e organizza in collaborazione con enti pubblici, il Festival Internazionale “Aradeo e i teatri”, un pezzo di storia del teatro a Sud, che ospita artisti nazionali e internazionali. Sin dall’inizio Koreja svolge la sua attività proponendosi come centro di produzione, ricerca e promozione teatrale rivolta ad un vasto pubblico. In collaborazione con l’Ente teatrale italiano e con gli enti locali organizza, sin dal 1991, il cartellone teatrale nella città di Lecce “Strade Maestre”, un progetto di promozione teatrale rivolto alle aree disagiate del Paese. Nel 1998 Koreja sposta la propria sede a Lecce nella periferia della città, nel quartiere Borgo Pace. Qui compra e ristruttura a proprie spese una ex fabbrica di mattoni, trasformandola in una casa del teatro: i Cantieri Teatrali Koreja. L’idealità del luogo, presagirla, inventarla, costruirla in una vecchia fabbrica di mattoni è sfida e dono ad una città non sempre disposta ad accogliere.
Nel 2003 i Cantieri Teatrali Koreja sono riconosciuti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali come “Teatro Stabile d’Innovazione” del Salento per la ricerca e la sperimentazione, a conferma della vocazione produttiva e di un forte radicamento sul territorio. Nel 2015 i Cantieri Teatrali Koreja vengono riconosciuti dal Ministero dei Beni Culturali come “Centro di Produzione teatrale di sperimentazione e di teatro per l’infanzia e la gioventù”, unico in Puglia.
Dal 2017 il teatro si avvale di un comitato scientifico composto da Eugenio Barba, Nicola Savarese e Franco Perrelli.
Il progetto artistico di Koreja è fatto di opere, azioni e storie – piccole o grandi che siano – che partono da lontano e soprattutto dall’esigenza profonda di costruire nell’amato-odiato Sud, una “residenza del teatro e della cultura” aperta alle innovazioni, al confronto fra le diverse generazioni; un caleidoscopio di arti generi e pratiche dove alle proprie si uniscono le radici e le lingue degli altri, in un rapporto di reciproco rispetto, evitando soggezioni millenarie, ma anche inutili orgogli provincialistici, con tanta voglia di conoscere e sperimentare nuove direzioni, linguaggi e poetiche.
Un progetto ad ampio raggio, quello di Koreja, che vive dentro e fuori i Cantieri Teatrali, in un continuo viaggio di andata e ritorno.
Ma opere, azioni e storie vuol dire anche produzione di spettacoli teatrali che nascono all’interno dei Cantieri e che si misurano con un vasto pubblico in occasione delle tournée. E vuol dire ospitalità di compagnie ed artisti, incontri culturali, mostre, installazioni e prove aperte; vuol dire attività di formazione teatrale rivolta soprattutto ai giovani ed ai soggetti svantaggiati e vuol dire, infine, infine un dialogo permanentemente e aperto con il pubblico e con le istituzioni.
L’esperienza di Koreja nasce negli anni ’80, nel contesto del teatro di gruppo, in un’idea di comunità in cui è importante mettere in comune le differenze.
L’anima di Koreja è artigiana sin dalle sue origini, non commerciale. Il gruppo originario è composto da Salvatore Tramacere, Stefano Bove, Franca Carallo e Francesco Ferramosca: un piccolo gruppo di giovani in cerca di simboli, di riferimenti, di nuovo pensiero animato dal bisogno di fare teatro, in un Sud in cui il teatro non c’è.
Fondamentale all’interno del gruppo, oltre alla direzione artistica tenuta sin dalle origini da Tramacere, la visione internazionale apportata da Silvia Ricciardelli, napoletana d’origine, formatasi all’Odin Teatret per dieci anni. La sua scommessa è insegnare per un teatro che non esiste, una tipologia di lavoro in cui l’attore impara a produrre materiali che poi il regista elabora e trasforma in spettacolo. Nonostante la tecnica, la sua pedagogia, intesa come trasmissione di esperienza scenica, è quella applicata di fatto con i compagni di viaggio perché “il teatro che è come il mercurio: lo dividi, si apre e poi si riunisce. E’ un gioco di molecole che si aggregano e poi si disgregano in un susseguirsi di esperienze”.
La compagnia nasce, così, attraverso esperienze “autodidatte” fatte di sguardi, di tentativi, di errori, di sperimentazioni e percorsi; fatte di persone che ogni giorno si chiedono “che fare” e si interrogano sul “come” andare avanti mettendosi alla prova; interessate più ad un percorso dell’essere che ad un risultato da mostrare in un processo pedagogico in cui si passa da essere allievo-attore ad essere attore-pedagogo.
Tutt’ora il nucleo artistico è caratterizzato da “pratica in cerca di teoria” che si fonda sull’incontro più che sulla parola scritta; sull’emozione e sulla relazione che sul diktat o su regole e tecniche codificate, nonostante il rigore e la disciplina governino l’agire. Piccole sconfitte e piccole conquiste aprono a nuove prospettive, offrono visioni, circuitano linguaggi, scritture ed esperienze in un processo naturale di cambiamento continuo. La marginalità originaria continua a rappresentare la predisposizione di vicinanza ai confini, a quei limiti che toccandosi fra loro, si intersecano contaminandosi. Ogni giorno si sceglie con forza di essere ancora artigiani, di mettersi in angolo per “guardare meglio” eliminando quelle barriere culturali e ideologiche che sono d’intralcio alla costruzione quotidiana di un teatro trans-culturale che parte dall’uomo.