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immagine di copertina Intervista a Carolina Pizarro

Intervista a Carolina Pizarro

Interviste
di Annarita Risola

“Non ho eredi né ho un’eredità da lasciare. Il mio insegnamento non si trasmette né si estingue. Evapora e cade come pioggia sulla testa di chi non se l’aspetta” (Eugenio Barba).

A conclusione dello spettacolo “L’Albero”, andato in scena il 18-11-21 presso i cantieri teatrali Koreja, regia di Eugenio Barba, fondatore dell’Odin Teatret, incontriamo l’attrice Carolina Pizzarro.

D: Chi è Carolina Pizarro?

R: È difficile rispondere alla domanda: “chi sono io?”, perché “l’io” si costruisce in base alle esperienze che si vivono e alle persone che si incontrano lungo il cammino. Per questo cambiamo continuamente, anche se manteniamo lo stesso nome da quando nasciamo. Io sono nata a Santiago del Cile nel 1981, in un quartiere molto povero. La mia infanzia è stata segnata dalla dittatura militare: ordine, disciplina e militari nella scuola. Sono la figlia di Margherita, che ha lavorato per anni occupandosi di malati terminali, accompagnandoli fino alla morte.

Da lei ho imparato il valore del tempo presente, a prendermi cura della mia salute e l’importanza di proteggere un altro essere umano. Il nome di mio padre è Evaristo, è andato in pensione dopo aver lavorato in fabbrica per 40 anni. Ha sempre avuto un buon senso dell’umorismo, anche nei momenti più difficili. Il loro esempio mi ha sempre aiutato, specialmente in questo anno molto complesso.

Oggi, a 40 anni, posso dire di essere una persona più coscienziosa, flessibile, meno giudicante e con un buon senso dell’umorismo. Dal 2015 vivo in Danimarca, con mio marito Luis Alonso e nostra figlia Eloísa, che ha 4 anni, perché lavoriamo come attori all’Odin Teatret e come registi di Ikarus Stage Arts: un gruppo composto da giovani provenienti da vari paesi e discipline artistiche. Lavoro al Nordisk teaterlaboratorium- Odin Teatret come attrice, regista e ricercatrice.

Nel 2007 ho conseguito la laurea in Lettere e come attrice presso l’Università del Cile. Dal 2010 sono allieva di Lakshman Gurukkal dall’Hindustan Kalari Sangham – Kalari Gram, India. Dal 2015 sono un’attrice dell’Odin Teatret, sotto la direzione di Eugenio Barba.
Dal 2017 sono direttrice e fondatrice di Ikarus Stage Arts. Partecipo
attivamente a progetti legati a Magdalena Project e Mujeres per la cultura. Prendo parte a convegni e festival e presento il mio lavoro teatrale mediante seminari, dimostrazioni di lavoro e talk, organizzati da istituzioni culturali, Università o società indipendenti di diversi paesi, in America, Europa e Asia.   

D: Come nasce il tuo amore per il Teatro?

R: Credo che le persone che incontri e le esperienze che vivi, contribuiscano a definire ciò che desideri e ti ispirino a scoprire qual è la tua vocazione. A volte, a scuola, ho partecipato a laboratori teatrali, ma non ricordo di aver mai sognato di fare l’attrice.

All’età di 12 anni ho cominciato a lavorare part-time in un negozio di calze, perché volevo essere indipendente. Per decisione dei miei genitori ho studiato ragioneria e all’età di 17 anni ho iniziato a lavorare in un ufficio. Avevo 19 anni, quando ho visto un cartello per strada: “Farò ciò che ho sognato o non farò nulla.” Questa frase mi toccò profondamente (Solo più tardi ho saputo che era di Antonin Artaud; a quel tempo era lo slogan della scuola di teatro “Facetas”).

Quando dissi a mio padre che volevo fare l’attrice, mi rispose che l’arte non era per i poveri. Mi disse di dimenticare quell’idea. Ugualmente decisi di studiare recitazione e pedagogia teatrale: di notte. Ero al terzo anno, con Andrea Ubal, quando capì che il talento non bastava, perché fondamentale è il tempo che si dedica al lavoro. Decisi
di lasciare la scuola di recitazione e anche il mio lavoro di contabile per entrare all’università.

Mio fratello Edson, che oggi è un insegnante di lingue e poeta, mi spronò ad avere coraggio; in diversi momenti della mia vita mi ha fatto presente che non c’è niente da perdere quando non si ha niente, quindi, è sempre meglio “fare” che “non fare”. Se volevo essere un’attrice professionista, non bastava studiare part-time, doveva essere con totale dedizione.

Quindi cominciai dal principio, all’Università del Cile, dove ho conseguito un Bachelor of Arts come attrice professionista nel 2007. Inizia così il mio amore per il teatro, una strada che sto ancora percorrendo. Grazie al teatro ho iniziato a disobbedire, a decidere
per me stessa e a difendere ciò in cui credo. Ho imparato che puoi plasmare il tuo destino.

D: Quando avviene il tuo incontro con l’Odin Teatret?

R: Era il 2006 ed ero al terzo anno di università, mi preparavo per gli esami di chiusura del semestre, seppi che Eugenio Barba e Julia Varley sarebbero stati in Argentina, per tenere un incontro con degli studenti. Anche se non mi fu dato il permesso di poter saltare i corsi all’università per due settimane, non esitai a viaggiare per incontrarli.

L’esperienza fu straordinaria, quindi chiesi ad Eugenio Barba se potessi fare un’esperienza con loro in Danimarca: lui mi rispose di no. Mi consigliò di tornare in Cile, finire gli studi e di formare un gruppo. Lo feci! Fondai la Triskel Performing Arts e presentammo uno spettacolo. Nel 2008 seppi che il gruppo Yuyachkani, stava organizzando un incontro dell’Odin Teatret a Lima. Decisi di andare, viaggiai, vidi gli spettacoli e partecipai a vari workshop ed incontri. Di nuovo, sentì di vivere
un’esperienza unica, in particolare, quella volta, fui completamente catturata da Torgeir Wethal.

Alla fine di uno degli spettacoli, chiesi ancora una volta ad Eugenio Barba, se potessi andare in Danimarca. Questa volta mi rispose di sì, a patto che un membro del gruppo accettasse di essere responsabile del mio processo, dicendomi “non credo che nessuno accetti, perché hanno già, troppo lavoro.” Non mi scoraggiai e una sera, durante una cena chiesi a Julia Varley se potessi essere sua allieva.

Con mia sorpresa, lei accettò. Impiegai due anni per trovare i fondi per poter viaggiare dal Cile alla Danimarca. Stavo lavorando ai vari compiti che Julia mi aveva assegnato, quando il Cile fu colpito da un forte terremoto di 8,3. Fu devastante. Era il febbraio 2010. Ero sotto shock e non riuscivo più a trovare la motivazione per continuare a lavorare in teatro. Julia mi incoraggiò a recarmi subito ad Holstebro, ad aprile, per studiare e fare ricerca sulla tradizione del passaggio di esperienza all’Odin Teatret.

Per tre mesi ebbi l’opportunità di imparare anche con Else Marie Laukvik, Roberta Carreri e Augusto Omolú. Vidi prove e spettacoli. Il risultato di questi mesi di lavoro, fu il mio spettacolo personale “Tierra de fuego” diretto da Julia Varley, che ancora oggi continuo a
presentare. Julia Varley, Else Marie Laukvik e Roberta Carreri sono state ed ancora oggi sono, le mie grandi insegnanti. Quel viaggio ha rasformato la mia vita, sentivo di voler stare vicino a queste persone.

D: Cosa significa far parte di una compagnia teatrale ed in particolare dell’Odin Teatret?

R: È mostruosamente bello!

Far parte di un gruppo come l’Odin Teatret ti dà la possibilità di poter crescere profondamente a livello personale, professionale
e penso anche, a livello spirituale. La mia relazione professionale con Eugenio e Julia è iniziata 15 anni fa. Con gli altri membri del gruppo undici anni fa. In un certo senso, è più di un rapporto di lavoro: sono i miei insegnanti e allo stesso tempo i miei colleghi.

Provo per loro amore incondizionato, rispetto e profonda ammirazione, senza mai dimenticare che anche loro sono esseri umani e che quindi possono sbagliare. Non ho mai chiesto di far parte del gruppo. Non
era quello che stavo cercando, né tantomeno me lo aspettavo, ma quando Sofía Monsalve decise di lasciare il gruppo nel 2015, Eugenio mi chiese se volessi prendere il suo posto. La mia prima reazione fu quella di piangere, poi di paura, di sorpresa… non so bene. Mi sentì come “Un mortale invitato a stare tra gli Dei”.

A quel tempo avevo deciso di andare in India, il mio maestro mi stava aspettando ed all’improvviso, arrivò la proposta di far parte dell’Odin Teatret. Sapevo cosa avrebbe significato trasferirmi in Danimarca, lasciare i miei progetti ed in un certo senso, rinunciare alla mia
libertà. Dovevo scegliere e non è stato facile. Sapevo che dovevo donarmi completamente. Ed io sono sempre stata uno spirito libero, ma alla fine accettai, per amore, per rispetto e perché sentivo di aver ricevuto molto da loro. La mia lealtà e gratitudine erano più forti della paura o dell’insicurezza che provavo.

Mi rendeva felice poter lavorare con loro. Quindi, guardai la paura a testa alta, misi il mio ego in tasca e decisi di vivere nel momento presente. “Ci proverò”, mi dissi. Con Julia ho imparato a lavorare da
sola, con Else Marie ho imparato a comporre e con Augusto la disciplina,
l’ironia e il coraggio. Roberta mi ha aiutato a creare materiale scenico, Frans a cantare in danese e Jan a suonare le canzoni con l’ukulele. Iben mi ha dato consigli per ampliare la proiezione della mia voce e Donald mi ha insegnato a camminare sui trampoli. Kai è stato sempre disponibile, Tage mi ha sostenuto con il suo sorriso, le sue parole e la sua presenza ed Elena è stata sempre con me, mi ha protetta come una compagna, incondizionatamente.

Tutto questo ha reso possibile l’impresa di essere pronta, in soli due mesi, e poter partecipare a quattro spettacoli di gruppo dell’Odin Teatret, con personaggi totalmente diversi. Oltre ad unirmi alle prove di una nuova creazione: “L’Albero”. Lunghe ore di lavoro, ma non ero sola. Ci furono tre “premiere” a una settimana di distanza l’una dall’altra, più una quarta dopo altre tre settimane. Pazzesco, impossibile… ma ce la facemmo. Eugenio mi disse: “E l’hai fatto!” Gli risposi: “Sì, qui puoi fare ciò che ritieni impossibile”. Non dimenticherò mai i suoi occhi luminosi con un ampio sorriso.

Guardare attori più anziani lavorare con Eugenio Barba come regista, sapendo che lui persegue l’impossibile, è una sfida continua. Ma è una cosa diversa vedere che puoi farlo anche tu, un semplice mortale. Quindi, per me, far parte dell’Odin Teatret significa sorprendermi, aprirsi per dare tutto ciò che hai, come risultato di un costante apprendimento
di te stesso e dei tuoi limiti. Imparare a prendere decisioni coerenti con tutto ciò.

Anche se Eugenio Barba intimidisce, a volte. Oggi per me è importante accettare che per Eugenio Barba non sarà mai abbastanza, accettarlo
fa bene, anche se a volte può essere doloroso, ma va bene. Significa trovare un sano equilibrio tra ciò che puoi dare e i tuoi limiti. Significa anche imparare, che se hai dato il massimo, ma il tuo massimo non basta, va bene, perché alla fine, tutto quello che fai, lo fai per te stesso, per un bisogno personale, non per alimentare il tuo ego o diminuire la tua insicurezza con l’approvazione esterna.

D: Cosa rende l’Odin Teatret differente dalle altre compagnie?

R: Non so se posso confrontare l’Odin Teatret con altre compagnie, ma so che è molto, molto diverso. L’Odin Teatret è nato 57 anni fa, ed ancora oggi, le stesse persone continuano a lavorare insieme. Hanno trasformato una fattoria in un teatro a Holstebro: Tage Larsen, è stato un valido aiuto, perché aveva lavorato come carpentiere e muratore.

Oggi ogni angolo del teatro ha una sua propria storia e ci sono oggetti da tutto il mondo. Abbiamo un regista di 85 anni, che si arrampica sugli alberi, si butta a terra e corre per i prati come un bambino. Litiga con il vento quando vuole che gli alberi volino e sempre vuole, pretende… l’impossibile.

Quando chiedi ad Else Marie Laukvik, attrice arrivata nel gruppo quando aveva 19 anni, qualcosa in così tanto tempo?”. Lei vive solo nel momento presente, giorno dopo giorno, ma continua a innervosirsi come una bambina quando Eugenio va a vedere una sua prova. Oggi ha 77 anni e guardarla esibirsi è sempre una delle esperienze più affascinanti che abbia mai fatto.

Siccome sono l’attrice più giovane del gruppo, in molti, spesso mi chiedono: “Quando si svolgono le audizioni in Compagnia?”, ma quando rispondo che non si fanno audizioni e che nell’Odin ci sono sempre gli stessi attori da molti anni, mi chiedono come ho fatto ad entrare io, allora. “A volte, sono le decisioni a prendere te…” direbbe Roberta Carreri.

La tradizione del passaggio di esperienza è fondamentale, perché pedagogia e ricerca hanno un peso molto forte all’interno del gruppo. In questo le donne sono molto attive, scrivono libri, hanno progetti e mettono in piedi lavori individuali che nascono di propria iniziativa.

Non c’è la necessità di avere uno spettacolo nuovo ogni anno, anzi, al contrario uno spettacolo può impiegare anche tre anni per essere pronto. Forse è questa la ragione per cui, dopo due anni senza mettere in scena “l’Albero” ci siamo ricordati tutto. Ci sono voluti solo due giorni di prove per recuperare lo spettacolo, ed essere pronti per il nostro ultimo tour in Italia, dove ci siamo esibiti al Teatro Nuovo Abeliano di Bari e poi al Teatro Koreja, a Lecce. Infine, siamo un gruppo nel quale si parlano molte lingue. A volte non ci ascoltiamo, molti dei membri del
gruppo usano già le protesi acustiche, ma alla fine ci capiamo. E ripensandoci…sì, credo che ci sia qualcosa di davvero unico e diverso…ma questo, lo tengo per me.

D: L’Odin è una piccola comunità, qual è l’aspetto che più ami e quale meno?

R: Per me, più che una piccola comunità, l’Odin Teatret è come un pianeta. Abbiamo un modo di lavorare molto particolare che poche persone capiscono. Quello che mi piace di più è vederli sorridere, quando creiamo insieme, mostriamo spettacoli e andiamo in tour, perché in questi momenti si dimenticano le molte differenze che ci sono tra noi (e non parlo solo della differenza di età).

Li amo e li rispetto profondamente, anche se lavorare con loro non è affatto facile. Ma ciò che abbiamo in comune è molto forte, grande rispetto per il lavoro, che tuteliamo al di là delle differenze personali. A questo proposito, alcune parole di Eugenio: “Contano
solo le nostre azioni. Da loro traspare l’integrità che guida la disciplina del lavoro e che ispira legami aldilà di quelli professionali. Le nostre azioni possono essere fraintese, generare malintesi, essere considerate il contrario di quello che desiderano essere. Ma quello che dobbiamo fare, dobbiamo farlo, e non porre domande, non porre domande”.

D: Quale approccio metodologico consiglieresti di seguire a chi voglia intraprendere la difficile strada del lavoro teatrale?  

R: Ci sono persone che si definiscono ricercatori teatrali, frequentano tanti laboratori, con gruppi o insegnanti di varie tradizioni, ma senza mai approfondire in maniera particolare, nessuno di essi. Sfruttano poi gli insegnamenti ricevuti, insegnando ad altri o cercando di usarli per creare, ma questo a mio avviso, sarà sempre solo un approccio al lavoro, a un livello superficiale.

Personalmente, non credo che questo sia il percorso migliore per la realizzazione professionale, perché si corre il rischio di essere “turisti” e non “abitanti” della scena teatrale. Un consiglio, per chi vuole lavorare in teatro a livello professionale, è quello
di cercare, prima di ampliare le proprie referenze. Per questo si possono
vedere altri gruppi, assistere a spettacoli di altre discipline artistiche, guardare film, visitare musei, leggere libri o ascoltare musica.

Oggi c’è una vasta gamma di possibilità e oggi più che mai, abbiamo accesso a innumerevoli quantità di informazioni. Tutto questo può servire, ma solo per ispirazione. Poi devi prendere una decisione: fare una scelta ed agire di conseguenza. Il rispetto di tutte le tradizioni è importante, volerlo apprendere anche, ma dobbiamo sapere chi siamo e le ragioni che ci spingono in quella direzione.

Nella relazione diretta con un insegnante, è importante capire che è un’esperienza di responsabilità reciproca e quindi preziosa. Per questo ritengo necessario che le persone scelgano “una opzione”, la approfondiscano con disciplina e rispetto fino a trovare la propria autonomia. Nel mio caso, nel 2010 ho deciso di continuare il mio percorso di apprendimento solo con l’Odin Teatret e con l’arte marziale kalarippayattu, sotto la guida del mio maestro Lakshman Gurukal.

Sono ormai undici anni, che continuo il mio lavoro, cercando un punto di incontro tra l’arte marziale e la formazione teatrale per la creazione di spettacoli, sia come attrice, che come regista e pedagoga. Oggi penso che questo lavoro stia cominciando a dare i suoi frutti.

D: Nel panorama internazionale credi ci siano compagnie che si possano avvicinar se non paragonare all’Odin?

R: Essendo cilena, mi vengono in mente due gruppi dell’America Latina, il gruppo teatrale La Candelaria, fondato in Colombia nel 1966, e il gruppo teatrale Yuyachkani del Perù, che ha recentemente festeggiato il suo 50° anniversario. Possono avere somiglianze tra loro, ma credo che ogni gruppo costruisca il suo immaginario, la sua identità e la sua storia in base alle proprie esigenze e al contesto in cui vive.

D’altra parte, sebbene siano molti quelli che si ispirano all’Odin Teatret, forse c’è poca cultura del teatro di gruppo, perché comporta un grande sforzo ed è difficile sostenerlo finanziariamente. Per questo motivo è molto comune trovare gruppi che in realtà sono composti da uno o due persone e cambiano team di lavoro a seconda dei progetti che realizzano. Ci sono molti gruppi o compagnie che iniziano seguendo le orme dell’Odin Teatret ma alla fine trovano la loro strada.

D: Questo tipo di teatro comporta disciplina, metodo e dedizione. Come fai a conciliare la tua vita privata con quella lavorativa?

R: Ho sempre pensato di dedicarmi al 100% al mio lavoro. Non volevo essere una madre. Ad un certo punto ho cambiato idea ed ero incinta. Ho ricevuto la notizia lo stesso giorno della premiere de “l’Albero”. Pensavo: “Potrò continuare a lavorare?”. Ero piena di dubbi. Ho detto al mio compagno Luis che non potevo dedicarmi soltanto ad essere genitore, e alla piccolina che portavo in grembo: “Piccola, tua madre è un’attrice e una regista, lavora a qualcosa che ama, quindi preparati, avrai una vita divertente”.

Sono sempre stata ossessionata dal mio lavoro e ho difeso quello spazio con le unghie e con i denti. Ho lavorato fino all’ottavo mese di gravidanza. Mi sentivo forte, sana e felice. Abbiamo viaggiato in tournée in Argentina, calcolando l’ultima data in cui mi avrebbero permesso di poter viaggiare. Mi sono esibita nelle “Grandi Città sotto la luna” con una pancia enorme, tutti pensavano che avrei partorito a Buenos Aires. Ma Eloísa è nata in Danimarca, ad aprile. Poi, ho deciso di tornare in scena a luglio, tre mesi dopo il parto. Di questo, a dire il vero, me ne pento. Ma venivo dalla formazione/educazione di fare, per fare
l’impossibile.

Oggi, penso che mi sono spinta troppo in là. Posso solo provare gratitudine per le gioie ed i dolori. Non mi giudico. Fui fedele a quello che sentivo in ogni momento. Da allora fino ad oggi, con Luis abbiamo cercato di conciliare la famiglia ed il lavoro. Eloísa è sempre in teatro con l’Odin Teatret o con Ikarus Stage Arts. Viaggia sempre con noi. È estenuante, sì, ma Eloisa è una bambina molto felice. Ho lavorato molto
ogni giorno, più di quanto potessi immaginare.

Nei momenti di difficoltà, penso
spesso a Torgeir, che nonostante stesse morendo di cancro, continuava a
lavorare sempre con il sorriso e con tanta dedizione. Per me lui è
un’ispirazione. Anche se la mia famiglia è lontana e spesso sento di aver
bisogno di loro, apprezzo l’aver avuto, ugualmente qui, un’importante rete di
supporto. Stiamo crescendo nostra figlia con l’aiuto di Gabriela Arancibia e
Michelle Marie Rodriguez, e all’occorrenza ci sono anche Francesca Tesoniero e
altri Ikarus. Qualche anno fa ci hanno aiutato molto anche Paola Vilchez e
Yessica Alvarado.

Apprezzo aver avuto tutto ciò, è
stato essenziale. Una cosa che ho capito nel tempo è che per conciliare vita
privata e lavoro è importante essere coerenti con sé stessi. Il tempo non si
ferma se non impari a tacere e a fermarti. E se non impari, il tuo corpo lo fa
per te. L’onestà assume un valore profondo ed anche imparare a saper chiedere
aiuto.

L’Odin Teatret, Ikarus, Luis ed
Eloísa mi spingono sempre ad andare oltre. Unire i due ambiti, la famiglia e il
mio lavoro, mi ha fatto crescere fin dall’inizio, mi ha insegnato ad affrontare
le mie paure e spronato a fare l’impossibile. L’impossibile è un traguardo che
non sempre viene raggiunto…e questo frustra. Eloisa, mia figlia, oggi è la
mia grande maestra. È lei che mi fa scoprire ogni giorno qualcosa che non
conoscevo di me stessa. Mi ha dato saggezza, pazienza e la consapevolezza
dell’amore incondizionato.

D: Eugenio Barba durante l’incontro avvenuto subito dopo lo spettacolo
“L’albero” il 19-11-21 presso i Cantieri Teatrali Koreja a Lecce, ha espresso
la volontà di non voler tramandare L’Odin. Come parte integrante della
compagnia, quali sono le tue aspettative e cosa pensi di fare dopo questa
esperienza?

R: Uno dei motivi per cui ho
scelto di fare teatro è perché quello che amo di più è viaggiare ed imparare
dall’incontro che nasce tra culture diverse. Sono grata di lavorare su ciò che
per me ha un significato, circondata da persone che mi ispirano e mi spingono a
crescere ogni giorno. Da parte mia, cerco di adempiere al grande compito di
vivere e godermi il momento presente il più possibile.

Cerco di non avere aspettative
sul futuro o su cosa farò quando la mia esperienza come parte dell’Odin Teatret
sarà finita; perché non è ancora finita. Ovviamente è una cosa che non voglio
che accada, far parte del gruppo sta segnando la mia vita in modo molto profondo,
ma capisco che fa parte del ciclo della vita. Mi chiedo come dovrebbe terminare
una bella storia come questa.

Sicuramente Eugenio, Else Marie,
Iben, Tage, Ulrik, Frans, Jan, Roberta, Julia e Kai sapranno come farlo in modo
saggio. Alla fine, sono loro che hanno costruito questa storia. Io mi sento
solo come una mortale che termina la sua festa con gli Dei. Eugenio dice di non
avere eredi. Io sono d’accordo con lui.

Dice: “Non ho eredi né ho un’eredità da lasciare. Il mio insegnamento non si trasmette né si estingue. Evapora e cade come pioggia sulla testa di chi non se l’aspetta”. Io non me l’aspettavo eppure quella pioggia mi ha bagnato e mi sta ancora bagnando la testa. Penso che i giovani debbano costruire la nostra casa, la nostra storia. Ma per andare avanti devi guardare indietro. Per me è importante avere la sua guida e i suoi insegnamenti e consigli. Lo ringrazio anche per avermi ispirato a trovare la mia strada. Faccio tesoro e rispetto tutto ciò che ho ricevuto.

Sono passati 15 anni dal mio primo incontro con Julia ed Eugenio e quasi 7 anni da quando sono parte del gruppo. Provo solo gratitudine per tutto ciò che ho ricevuto e serenità per tutto ciò che ho dato. Dopo questa esperienza, continuerò sicuramente a lavorare, e mi prenderò cura di ciò che ho ricevuto. Ho deciso di fare teatro, perché non mi piace la realtà.

Ognuno è responsabile della realtà che crea, io lavoro per costruire la mia. Vedo il teatro come un veicolo che ci aiuta a risvegliarci, a trasformarci e ad ispirare anche altre persone a farlo. E se ognuno di noi diventa la versione migliore di sé stesso, è già qualcosa.

Continuerò a lavorare in teatro, cercando un modo più amorevole, premuroso e saggio. Sempre con disciplina, ma senza mai perdere la gioia (Ringrazio Francesca Tesoniero per avermi aiutato a tradurre in italiano i miei pensieri).

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