IL CONFINE NEL TEMPO TRUMPIANO
Visioni
di Gigi Mangia
Con un tratto di penna, il presidente Donald Trump, ha cancellato lo “ius soli” ed il mondo intero ha visto gli immigrati in catene in aereo, espulsi e mandati nel nolo paese d’origine: il Guatemala. Il confine può essere una barriera naturale: un fiume, un mare, le montagne, un deserto oppure una linea artificiale stabilita dalla politica, fatta di alte mura in cemento da chilometri di filo spinato, da ponti o boschi, è questa la frontiera.
Il tema del confine è tornato ad occupare l’immaginario contemporaneo e nel nostro tempo sta assumendo configurazioni inattese e preoccupanti. Una riflessione su come declinare il concetto di confine secondo la nuova destra per come saranno trattate: le acque, il clima, i minerali, le terre rare e lo spazio, come il vero campo di guerra è stato proposto dallo studioso Klaus Dodds, docente presso la Royal Dalloway University di Londra.
La proposta di una nuova geografia politica dello studioso Klaus Dodds è molto interessante non solo perché indica le nuove cause delle guerre ma più ancora perché propone un nuovo modo di vedere la nuova scienza geografica.
Abbiamo considerato, e forse lo facciamo ancora, sinonimi il confine e la frontiera che al contrario sono diversi e regolano i rapporti fra i popoli. La frontiera, infatti, è fissata dalla volontà politica e comprende la lingua, la religione, i costumi, le tradizioni e la razza. La frontiera è chiusa e rifiuta la mobilità, respinge il diverso. Il ritorno della nuova destra fa della difesa della frontiera la bandiera della sua guerra contro la razza e individua nello straniero il nemico da cui difendersi. L’arma più usata è quella della paura, la quale mette in pericolo la sicurezza sociale economica e culturale, rendendo difficile la vita nelle città.
La difesa della frontiera si ottiene facendo guerra al diverso eliminandolo dalle città. Quella che stiamo vivendo è una crisi profonda perché nega e rifiuta la civiltà dei lumi ed in particolare mette in discussione la carta dei diritti internazionali che sono alla base della geografia politica nata dopo la Seconda guerra mondiale. È il mondo della cultura quello che si deve svegliare, che deve trovare le vie per sconfiggere le paure che inquietano la vita e portano la solitudine come barriera della mente, incapace di vedere la felicità del vivere.
Serve promuovere una grande architettura culturale, aperta senza frontiere, serve una grande alleanza fra potere e intellettuali, fra artisti e politica per guarire le classi sociali dalla paura ed educarle a trovare una vita sociale aperta al diverso, alla convivialità delle differenze. Non è un semplice esercizio di utopia ma un disegno di geografia politica e sociale urgente da realizzare se vogliamo davvero pensare un futuro diverso.