La parola guerra nel progetto del teatro Koreja: la città delle parole
Visioni
di Gigi Mangia
Immagino: la città delle parole come una tipografia dove arrivano parole per scrivere la polis del teatro su cui sventola la bandiera arcobaleno, la bandiera della pace di un teatro contro la guerra. Scrivere non è solo atto creativo, ma esperienza di crescita come, molto bene, insegnò a fare il pedagogista Mario Lodi nella scuola elementare. Le parole servono per aprire relazioni sociali e personali, per scambiare il pensiero, per riempire il silenzio. Per vincere l’inutile solitudine e per tendere una mano e fare esperienza di comunità. Per vivere in teatro.
Le città sono senza pace nel mondo. Ci sono ben 22 guerre. Nel terzo millennio si sono spesi già più di duemila miliardi di dollari per costruire nuove armi e 43 Paesi hanno sommergibili da guerra sotto le acque del mare. L’industria bellica è quella che ha il portafoglio con maggiori profitti. La guerra spaventa, causa crisi e porta paura e fame nelle città.
La guerra in corso sta cambiando pelle, diventando guerra di propaganda in rete e nei siti. L’America comunica al Mondo che il 16 febbraio la Russia farà il primo passo per iniziare la guerra contro l’Ucraina. Il Presidente Putin ha mobilitato centocinquantamila soldati ai confini dell’Ucraina dichiarandola un’esercitazione, ma se guardiamo la carta geografica ci accorgiamo che centocinquantamila soldati con mezzi da guerra blindati, non sono un’esercitazione. Fa paura. Non solo. Raccontare la guerra in rete, parlare della debolezza della diplomazia in politica è far emergere il sentimento di paura e far sentire disarmata la società civile. La propaganda della guerra ha già fatto vedere il trionfo dei profitti con l’aumento del gas e del petrolio a danno dei cittadini.
Quale strada potrebbe evitare il succedersi di una guerra come quelle del ‘900 in Europa? La fiducia e il risveglio dei giovani, di coloro che vengono dal futuro e possono scrivere, con parole nuove, una città senza guerra, la polis del dialogo, del coinvolgimento di tutte le arti per narrare una città senza paura, capace di offrirsi attraverso l’ascolto e la scoperta dell’Altro.
La guerra è inutile, non risolve, ma crea problemi, per questo la città delle parole deve cancellare la guerra dal suo vocabolario. Il teatro chiede di scrivere parole di pace per arrivare al riconoscimento del disarmo nucleare riconosciuto da tutti gli Stati. Avere città senza la paura della guerra non è utopia, ma un impegno per narrare il futuro delle nuove generazioni e il loro desiderio di vivere tempi di pace.