Lettere di Ovidio al Teatro
Visioni
di Gigi Mangia
Guido Piovene, descrivendo la città di Lecce, affermava
che è da considerare L’Athene, Capitale del Barocco nel Mediterraneo.
Nel lontanissimo passato il linguaggio figurativo era quello più accessibile alla conoscenza perché utilizzava molto la percezione e meno il logos e, quindi, era più facile alla comprensione del popolo. Nei tempi lontani le arti figurative, la letteratura e la musica non erano discipline ma linguaggi, ricerca della storia e della conoscenza dei popoli. Erano la narrazione dell’Atlante delle imprese di gloria. Il teatro e il museo, quindi, non sono luoghi separati, ma uniti; sono due finestre aperte sulla creatività che, con l’immaginazione, porta la realtà nel teatro e la trasforma in arte. Il vaso di Arianna rappresenta l’angoscia e la sofferenza del pensiero dei nostri giorni, disarmato ed incapace di prefigurare il futuro. La mano di Dionisio sulla spalla di Arianna conferma la necessità e la validità del mito ed enuncia l’insufficienza di una società che oltre ad aver perso i valori, ha perso anche un dio. Il dramma, la sofferenza, l’inadeguatezza del pensiero fa emergere con forza il corpo, il genere femminile perché, nel genere femminile, continua ancora a nascere il fiore, cioè la vita. Nei gesti raffigurati c’è tutta la contemporaneità dell’interpretazione dei vasi, che trova nuova vita nel linguaggio del Teatro.
Oggi abbiamo iniziato un modo nuovo di vivere il museo
perché congiungendo la forza delle parole alla forza delle immagini. Le
immagini mute dicono nulla, le parole vuote rendono difficile la conoscenza.